A oggi, francamente non ho capito contro chi, a Roma, l’ex ministro Roberto Gualtieri si batterà alle Primarie indette dal Partito democratico. L’unico suo possibile competitor, nel cosiddetto “campo largo” del centrosinistra, l’altro ex ministro, di un diverso governo però, Carlo Calenda (ammesso che l’interessato si senta parte di quel “campo”) non vi parteciperà. E così Gualtieri vincerà facile, salvo che poi alle elezioni di autunno dovrà affrontare, oltre al tuttora sconosciuto candidato della Destra, la sindaca uscente, pentastellata e ritenuta da tutto il Pd, e non solo, una sciagura; ma al tempo stesso esponente di rilievo del partito-non partito col quale il Pd medesimo vuole costruire un’alleanza politica strategica in vista delle future – e non più tanto lontane – elezioni parlamentari. Non che a destra abbiano risolto i loro problemi, tutt’altro, ma volendo porre un occhio all’area di interesse in questo scritto non si può certo dire che la convergenza auspicata fra dem e pentastellati stia facendo grandi passi avanti, sul territorio. Non a Roma, ma nemmeno a Torino dove la sindaca grillina (ma si potrà ancora definirli così, i seguaci del “vaffa”?) Chiara Appendino ha già escluso addirittura anche un eventuale sostegno al candidato del Pd che dovesse arrivare ad un ballottaggio con lo sfidante del centrodestra, qui scelto già da mesi, l’imprenditore del settore vinicolo Paolo Damilano. E neppure a Milano, dove i grillini correranno contro il sindaco Sala, che per parte sua dopo anni durante i quali si era dichiarato molto vicino al Pd pur da non iscritto ora ha pensato bene di aderire ai Verdi europei. E probabilmente nemmeno a Napoli, dove il governatore-viceré Vincenzo De Luca, uomo del Pd assolutamente allergico a qualsiasi influenza romana, non vuole sostenere l’eventuale candidatura del Presidente della Camera Roberto Fico, forse l’esponente cinquestelle più vicino alle idee della Sinistra.
Questa situazione di aperta ostilità è diffusa nel Paese, nei centri maggiori e ancor più in quelli minori, ove offese e insulti da parte dei grillini accumulati negli anni sulla propria pelle dagli esponenti locali dei dem non sono così facilmente dimenticabili, magari solo perché un inviato del partito nazionale viene a dirti che devi allearti o addirittura sostenere chi fino al giorno prima ti ha sbeffeggiato.
Ora, in un simile contesto, immaginare che l’esercizio democratico delle Primarie, arricchito con l’idea del voto ai sedicenni (non proprio il problema principale degli italiani oggi, diciamo), possa risolvere quello che è un ostacolo politico a tutto tondo pare francamente essere una fuga dalla realtà. Su questo strumento si è costruita nel tempo una mitologia che i fatti quasi sempre si sono incaricati di smentire. Innanzitutto, andrebbero distinte quelle “interne” (ad esempio, per l’elezione del segretario del Pd) da quelle d’area, il centrosinistra nel caso specifico. Sulle prime vi sarà modo senz’altro di tornare quando sarà il tempo. Per quanto concerne le seconde, quelle d’area, è evidente che esse possano recare un valore aggiunto – e ciò è oggettivamente possibile – ma solo se approdo finale di un confronto fra candidati e loro sostenitori che hanno davvero interiorizzato la loro alleanza, essendo così capaci di trasformare i gazebo in un momento non solo di democrazia ma anche, e di più, di affermazione e sostegno propulsivo di quell’alleanza. Di coinvolgimento emotivo della popolazione interessata, e dunque dell’elettorato. E questo è valido, anzi decisivo, quanto più la dimensione del confronto è locale: perché nella grande città un po’ di asprezza può anche essere tollerata (entro certi limiti), ma nelle cittadine di venti/trentamila abitanti molto meno, o per nulla.
Forse oggi lo ricordano in pochi, ma l’inizio della caduta di Renzi fu in coincidenza della sua non-gestione da segretario del Pd proprio delle amministrative di cinque anni fa. Nonostante le Primarie, e a volte proprio a causa di esse (la vicenda dei brogli a Napoli non la rammenta più nessuno?). Gestire le elezioni locali in un quadro politico nazionale di riferimento è certo possibile, pur se non facile. Ed è anzi obbligatorio, se quel quadro è ben definito e testato (da un’azione di governo, o da un programma comune ben delineato in vista delle votazioni per il Parlamento). Ma se quel quadro non c’è ancora, o non c’è del tutto, non saranno di sicuro Primarie più di nome che di fatto a risolvere il problema. Che è politico. Non comprenderlo sarebbe un errore grave.