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venerdì, Marzo 14, 2025
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Ma la Schlein è una leader di governo?

Si tratta di capire come l’attuale numero uno della sinistra italiana intenda costruire un credibile progetto di governo. Intanto, sul voto di Strasburgo, è uscita isolata anche rispetto ai suoi compagni del Pse.

Conosciamo l’obiezione. Ma nella maggioranza di governo c’è Salvini. Giusto, c’è Salvini che conferma tutta la sua plateale inadeguatezza nel saper declinare una vera e credibile cultura di governo. Detto e riconosciuto ciò, è innegabile che l’attuale sinistra, a trazione Schlein, conferma la sua radicale distanza da ogni seppur minima cultura di governo. E questo non solo perché la segretaria del principale partito della sinistra italiana ha trasformato il soggetto politico che dirige in una permanente assemblea studentesca, ma per la semplice ragione che sino ad oggi l’unico cemento ideologico unificante che ha saputo costruire con gli altri protagonisti di quel campo politico è sempre e solo rappresentato “dall’antifascismo”. Che resta indubbiamente un nobile e lodevole obiettivo ma ad una condizione: e cioè, che esista realmente il rischio del ritorno del fascismo. Perché altrimenti rischia di trasformarsi in una perenne barzelletta utile per chi ama la storia dell’inizio dello scorso millennio ma poco funzionale alle dinamiche della società contemporanea.

Ora, al di là del fascismo, della dittatura imminente e del regime illiberale alle porte e simili amenità, si tratta di capire come l’attuale numero uno della sinistra italiana intenda costruire un vero e credibile progetto di governo, frutto e conseguenza di una altrettanto vera e credibile cultura di governo. E soprattutto dopo l’isolamento politico in cui ha precipitato il suo partito con il voto in Europa sulla “difesa comune europea”. Isolata politicamente ma isolata anche rispetto ai suoi compagni del Pse. Ed è proprio su questo versante che si inserisce a pieno titolo il capitolo del profilo politico di una coalizione di sinistra guidata – almeno sino ad oggi – dal suo partito principale, cioè il Pd, e quindi dalla leadership di quel soggetto politico. Perché, d’ora in poi e forse mai come adesso, le coalizioni nazionali saranno nient’altro che la proiezione del progetto che si avrà sul versante europeo. Detto con parole più semplici, sarà la politica estera lo spartiacque decisivo per la costruzione delle alleanze politiche e di governo, auspicabilmente. E se questo sarà il perno centrale delle future coalizioni, è di tutta evidenza che le forze politiche dichiaratamente europeiste, riformiste e di governo non potranno registrare grandi punti di convergenza politica e programmatica con forze e movimenti fintamente se non addirittura ipocritamente europeiste, populiste o vagamente antagoniste.

Per queste ragioni il profilo e la proposta politica della segretaria del Pd, Elly Schlein, visto anche la sua concreta posizione su come rilanciare la vocazione e il progetto europeista in aperto contrasto con tutti gli altri partiti socialisti europei, difficilmente potranno essere compatibili con una strategia di governo. Soprattutto se alleato con partiti populisti come i 5 Stelle ed estremisti come il soggetto politico del trio Fratoianni/Bonelli/Salis. Ma, forse, è proprio questa riflessione che ci porta a dire che le future alleanze e coalizioni saranno diverse rispetto a quelle che si sono presentate di fronte al corpo elettorale nel settembre del 2022. Non prendere atto di questo sarebbe da irresponsabili e anche politicamente miope.