Si è svolto nei giorni scorsi il primo web-seminar dell’Associazione Vittorio Bachelet sul tema del “caporalato”. L’incontro ha avviato un percorso di studio e di proposta che l’associazione – fondata presso il CSM, quasi quarant’anni fa, in memoria del giurista assassinato dalle Brigate Rosse – ha promosso in collaborazione con la Fondazione “Don Tonino Bello” e l’Università del Salento, con l’obiettivo di pervenire all’elaborazione di proposte capaci di aiutare il contrasto a un fenomeno che registra numeri imponenti e in crescita.
“In realtà – ha precisato il prof. Renato Balduzzi, presidente dell’Associazione Bachelet, in apertura del convegno – dovremmo parlare di ‘caporalati’, al plurale, perché siamo oggi di fronte a tanti tipi di sfruttamento e di bisogno, alcuni dei quali arrivano fino alla riduzione in schiavitù. Il fenomeno interessa settori produttivi diversi (dai settori originari della manovalanza edile e agricola fino al mondo degli appalti di servizi e dell’organizzazione in forma imprenditoriale della c.d. ‘gig economy’), attraversa tristemente il problema dell’immigrazione e si compone spesso in un intreccio insidioso tra economia legale e mafie. Una realtà che riguarda ormai il Sud come il Nord del Paese e che nega la dignità del lavoro, rovesciando in modo intollerabile i principi costituzionali”.
Dopo i saluti di Giancarlo Piccinni (presidente della Fondazione “Don Tonino Bello”) e Luigi Melica (direttore del dipartimento di scienze giuridiche dell’Università del Salento) e l’introduzione di Giovanni Mammone (presidente emerito della Corte di Cassazione), a prendere la parola sono state voci provenienti da mondi diversi, nel comune intento di tracciare le coordinate della riflessione e portare alla luce le priorità di un contrasto al caporalato efficace non soltanto sul piano della repressione dei reati, ma anche di una prevenzione diffusa e partecipata.
La voce della cronaca, anzitutto, con l’intervento di Toni Mira, giornalista d’inchiesta e caporedattore di Avvenire, che ha ripercorso le storie delle vittime, dei ghetti, delle morti, che hanno scandito anche l’evoluzione della legislazione contro il caporalato, che ne ha fino agli anni recenti sottovalutato la portata disumana e criminale.
La voce degli studiosi del diritto penale (Giulio De Simone, ordinario nell’Università del Salento) e del diritto del lavoro (Antonella Occhino, preside della Facoltà di Economia nell’Università Cattolica), che hanno spiegato perché la fattispecie di reato introdotta nel 2016 abbia consentito un formidabile salto di qualità nella lotta al caporalato, ma anche le ragioni per cui è necessario generare a monte le condizioni che, nella regolazione delle relazioni industriali così come nella programmazione e attuazione delle politiche del lavoro, siano in grado di prevenire il fenomeno.
La voce della magistratura, con l’intervento di tre p.m. in prima linea e titolari di inchieste fondamentali in materia, come Giuseppe Gatti (direzione nazionale antimafia), Antonio Patrono (procuratore di La Spezia) e Ludovico Vaccaro (procuratore di Foggia), i quali hanno sottolineato la rilevanza strategica delle misure di prevenzione patrimoniale e, in particolare, del controllo giudiziario dell’impresa.
Alle relazioni è seguito il dibattito, al quale hanno preso parte il colonnello della Guardia di Finanza Paolo Consiglio, Caterina Boca della Caritas italiana, Vito Domenico Sciancalepore di Confcooperative, Gianmarco Laviola a.d. di Princes Industrie Alimentari e la giuslavorista Madia D’Onghia. Al centro dell’attenzione sia il ruolo del Terzo Settore nell’emersione del fenomeno e nel reinserimento delle vittime, sia l’azione delle imprese a favore di un controllo orizzontale tra operatori economici e dell’introduzione di requisiti di ordine
etico all’interno della catena produttiva e di costruzione del valore del prodotto, sia la necessità di una maggiore sensibilità e responsabilità del consumatore finale nella scelta tra prodotti certificati e non.
Un’esigenza di fare rete emersa anche dall’intervento del Rettore dell’Ateneo salentino Fabio Pollice, che ha sottolineato il ruolo della cosiddetta “terza missione” dell’Università e nelle conclusioni di Giancarlo Caselli, intervenuto anche nella sua qualità di presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio di Coldiretti sulla criminalità e sul sistema agro-alimentare, il quale ha evidenziato sia la necessità di marginalizzare nei rapporti produttivi gli operatori e i metodi di organizzazione del lavoro che, direttamente o indirettamente, alimentano il fenomeno, sia la necessità di introdurre regole speciali che favoriscano l’emersione dei lavoratori sfruttati che siano anche immigrati irregolari attraverso l’introduzione di un permesso ad hoc per il lavoro in agricoltura.
Il percorso proseguirà a inizio marzo.