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mercoledì, 7 Maggio, 2025
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“Mai più la guerra!”: un grido che attraversa ottant’anni di storia

Riproponiamo per gentile concessione del direttore Andrea Monda la prima parte dell’articolo di Andrea Tornielli ("Per un'Europa di pace ottant’anni dopo") pubblicato ieri 6 maggio sul quotidiano vaticano.

L’8 maggio 1945, ottant’anni fa, finiva la Seconda guerra mondiale in Europa. Il Vecchio Continente usciva dal terribile conflitto con intere città ridotte a cumuli di macerie e contava milioni di morti, di feriti, di dispersi, di sfollati. Nel Radiomessaggio del giorno successivo, Pio XII affermava: «Se noi ci restringiamo a considerare l’Europa, ci troviamo già dinanzi a problemi e a difficoltà gigantesche, di cui bisogna trionfare, se si vuole spianare il cammino a una pace vera, la sola che possa essere duratura. Essa non può infatti fiorire e prosperare se non in una atmosfera di sicura giustizia e di lealtà perfetta, congiunte con reciproca fiducia, comprensione e benevolenza. La guerra ha suscitato dappertutto discordia, diffidenza ed odio. Se dunque il mondo vuol ricuperare la pace, occorre che spariscano la menzogna e il rancore e in luogo loro dominino sovrane la verità e la carità».

Queste parole di Papa Pacelli sono quanto mai attuali. In questo nostro tempo, caratterizzato da nubi oscure e dal rimbombo del suono sinistro delle armi più distruttive, non è possibile costruire la pace, la pace vera, la sola che possa essere duratura, senza sicura giustizia, lealtà, reciproca fiducia, comprensione e benevolenza. La pace vera necessita di verità e di carità, non della volontà di dominio e sopraffazione, non della volontà di aggredire e di schiacciare l’avversario. L’anniversario che celebriamo rappresenta un invito a non dimenticare ciò che le generazioni dei nostri padri e dei nostri nonni hanno costruito con sacrifici immensi: ottant’anni di sostanziale pace in un continente che per secoli è stato squassato da ogni tipo di conflitto fratricida. Quel sacrificio assume oggi un significato particolarissimo e di grande attualità. Nazioni che si erano combattute aspramente dando origine a due tremendi conflitti mondiali, riprendevano un cammino insieme, quel cammino che ha portato all’Unione europea. La generazione dei padri fondatori dell’Europa unita aveva negli occhi le scene raccapriccianti della devastazione provocata dalla guerra.

A questa generazione di fondatori possiamo ascrivere idealmente anche Giovanni Paolo II: anch’egli aveva conosciuto gli orrori della guerra, il martirio della sua Polonia, le persecuzioni patite dagli ebrei, la divisione del mondo in due blocchi che aveva fatto ricadere la nazione polacca sotto il dominio sovietico. Rimangono scolpite nella storia le parole che il santo Pontefice, già malato e tremante, aveva pronunciato a braccio al termine dell’Angelus del 16 marzo 2003, quando stava per avere inizio la seconda guerra del Golfo con la spedizione militare di alcuni paesi occidentali in Iraq: «Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la seconda Guerra Mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest’esperienza: “Mai più la guerra!”, come disse Paolo VI nella sua prima visita alle Nazioni Unite. Dobbiamo fare tutto il possibile!».

È la voce di quella generazione che oggi è importante riascoltare; è la testimonianza di quei sopravvissuti che oggi è utile ricordare; è il sacrificio di quegli uomini e di quelle donne che torna a noi potente anche attraverso le prime pagine di giornali ingialliti eppure così vivi e così carichi di speranza. Risuona forte il grido degli ultimi papi: «Mai più la guerra!». Solo una generazione che dimentica può pensare che la pace si custodisca preparando la guerra, può illudersi di costruire la pace riempendo gli arsenali di armi sofisticate e distruttive, come se quelle già esistenti — basti pensare soltanto agli ordigni nucleari — non fossero già sufficienti a distruggere più volte l’umanità intera. È di disarmo che abbiamo bisogno, non di una nuova corsa agli armamenti. È di negoziato e creatività diplomatica che abbiamo bisogno, come ha ripetuto tante volte Papa Francesco. Anche se questa espressione rischia di ridursi soltanto a uno slogan, rimane profondamente vero che al principio del “diritto alla forza” deve sostituirsi “la forza del diritto”. […]