Manzoni e la libertà su “Il Popolo” di Giuseppe Donati

In ritardo rispetto alle celebrazioni del cinquantenario della scomparsa del grande scrittore, usciva nel 1924 un articolo, a firma di don Ellero, che merita di essere riletto. Di seguito ne proponiamo un ampio stralcio.

Giuseppe Ellero 

 

[…]

Pensavo a tutto ciò rileggendo questi giorni La rivoluzione francese, il bel frammento che Alessandro Manzoni lasciò disgraziatamente incompiuto. Mi parve che il grande scrittore parlasse oggi o risorgesse oggi, spirito ammonitore ai posteri suoi ammiratori.

 

È noto come il frammento manzoniano ponga a confronto la rivoluzione francese dell’89 con la rivoluzione italiana del ’59 e dalle differenze degli effetti ne induca la differenza delle cause. Una di queste differenze egli trova nell’oppressione del paese sotto il nome di libertà che caratterizzò la rivoluzione francese dell’89 e la distinse nettamente dall’italiana del ’59. Quest’oppressione è riassunta nel nome di terrore che fu dato a una fase non breve di essa. E qui il Manzoni ha una pittura di questa oppressione che noi sentiamo certo oggi più vivamente che ieri. «La ragione (egli dice) per cui un tal nome di terrore fu dato a quella sola fase, fu perché in essa la cosa era arrivata al colmo. Ma com’è chiaro per chiunque voglia dare un’occhiata ai fatti, il sopravvento di forze arbitrarie e violente era già principiato, quasi a un tratto con la Rivoluzione, a rattenere col mezzo di attentati sansuinosi e impuniti sulle persone, una quantità di pacifici cittadini dal manifestare, non che dal sostenere i loro sentimenti, e a imporre a molti, più onesti che risoluti membri dei Corpi o legislativi o amministrativi e altri, creati, o lasciati formarsi dalla Rivoluzione medesima, l’assenza o il silenzio, per arrivar poi a imporre con un successo più indegno, la parola e il voto».

 

Come si vede, queste parole sembrano scritte oggi.

 

Ma di fronte a questa rivolta opprimitrice il Manzoni evoca la rivoluzione italiana che non fu terroristica. Ecco le sue parole che definiscono chiaramente la libertà. «Qui la libertà lungi dall’essere oppressa dalla Rivoluzione, nacque dalla Rivoluzione medesima: non la libertà di nome, fatta consistere da alcuni nell’esclusione di una forma di Governo, cioè in un concetto meramente negativo, e che per conseguenza si risolve in un incognito: ma la libertà davvero, che consiste nell’essere il cittadino per mezzo di giuste leggi e di stabili istituzioni, assicurato, e contro violenze private e contro ordini tirannici del potere, e nell’essere il potere stesso immune dal predominio di società oligarchiche, e non sopraffatto dalla pressura di turbe sia avventizie sia arruolate: tirannia e servitù del potere, che furono a vicenda e qualche volta insieme, due modi dell’oppressione esercitata in Francia nei vari momenti di quella Rivoluzione, uno in maschera d’autorità legale, l’altro in maschera di volontà popolare ».

 

«È il mio caso – diceva Renzo al dottore – pare che abbian fatta la grida apposta per me».

 

Dato così il concetto di libertà, il Manzoni, riflettendo a questi due effetti così diversi delle due Rivoluzioni: oppressione in Francia, libertà in Italia, ne trova le cause nell’origine stessa dei due grandi avvenimenti. La Rivoluzione francese, egli dice in sostanza, non era necessaria.

 

E in lunghe pagine si adopera a provare come le riforme imperiose che dovevano togliere i mali dell’antico regime erano nel pensiero di tutti, del terzo stato come dei nobili e del re, e bastava la ferma e onesta volontà di tutti nell’applicarle. Non così in Italia. Oui, secondo il Manzoni, era necessaria la sostituzione di uno Stato forte ai molti, giacché i mali e la vergogna d’Italia derivavano non tanto dall’assolutismo dei principi, quanto dall’essere essi in molti, e perciò deboli e perciò impotenti a creare una nazione veramente libera. La Rivoluzione italiana dunque scoppiata su da una necessità di vita, fu perciò stesso, dice il Manzoni, aliena da ogni volontà di sopraffazione e di oppressione della libertà civile. Ecco le sue parole, piene anche qui per noi d’immediata e sentita verità:

 

«Fu infatti il sentimento del loro diritto che produsse negl’Italiani quella generale concordia, la quale prevenne anche l’occasione e la tentazione di opprimere. Non dico la necessità, perché questa non può mai essere altro che un pretesto, o d’uno o d’alcuni, ai quali sia necessario, per conto loro, d’opprimere una popolazione che non voglia fare ciò ch’essi vogliono: necessità tanto allegata dagli autori dei fatti più atroci della Rivoluzione francese e dai loro apologisti, e ch’era stata così bene chiamata dal Voltaire: la scusa dei tiranni.

 

Qu’il impute, s’il veut, des désastres si grands à la necessité, l’excuse des tirans ».

 

Non è chi non vede come queste parole, in tutto ciò che riguardano la libertà civile di un popolo, siano un frutto dello spirito del Cristianesimo. Fra i tumulti delle Rivoluzioni, tra i mali ch’esse portano, matura sempre per trionfare, un progresso provvidenziale guidato dall’alto. E quando qualche macigno enorme vien gettato contro questo frume irresistibile, noi ci rinfranchiamo udendo le voci che segnarono le tappe del suo corso e ne affermarono la insopprimibile vitalità.

 

Titolo originale: La libertà nel pensiero di A. Manzoni

[Il Popolo – 19 ottobre 1924]

 

Giuseppe Ellero (1866-1925) sacerdote friulano, storico e poeta. Insieme al suo correligionario Pio Paschini aveva partecipato al rinnovamento culturale durante il modernismo. Organizzatore del Partito Popolare nell’udinese.