Mattarella: “l’apatia dei cittadini è, per il bene pubblico, non meno grave della tirannia di un principe”

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico 2018/2019 dell’Università degli Studi di Firenze

Prima che il Magnifico Rettore dichiari aperto l’anno accademico desidero ringraziarlo per l’invito, ricordando che questo ateneo pone le mosse dal 1321 e fra tre anni compirà settecento anni della sua storia.

Rivolgo un saluto molto cordiale a tutti i presenti. Vorrei salutare il Sindaco e il Presidente della Regione.

Ringrazio il Sindaco per le sue parole e per il saluto e, attraverso lui, desidero salutare questa città così particolarmente piena di fascino, avvertito in ogni parte del mondo.

Tenere questa cerimonia e inaugurare l’anno accademico in questo salone pieno di storia e di arte è un privilegio che pochi atenei possono avere.

Ringrazio molto il Magnifico Rettore e faccio gli auguri al Corpo accademico, al personale amministrativo e tecnico, alle studentesse e agli studenti.

Vorrei riprendere diverse sollecitazioni che sono emerse negli interventi che abbiamo ascoltato.

Sarebbe interessante ripercorrere quel concetto di viaggio che il Rettore ha enunziato rivolgendosi agli studenti e alle studentesse: un viaggio accompagnato da reti di diverso genere per rendere più agevole e più sostenuto il loro percorso, assistito, aiutato e anche sorretto da quella terza missione che consiste nell’inserimento attivo nella società di cui il Rettore ha parlato.

Vorrei riprendere però particolarmente – e soffermarmi appena pochi istanti – su quello che mi è parso il filo conduttore degli interventi di questa mattina: il rapporto tra istituzioni e società per scongiurare la frattura che il Rettore ha indicato come un pericolo, sottolineando l’esigenza di stretta connessione tra società e istituzioni. Un’esigenza indispensabile che richiede una costante consapevolezza e una costante ricerca.

Vi è una corrispondenza tra questa esortazione, emersa in tutti gli interventi di questa mattina, e il modello presentato dalla nostra Costituzione, che affianca alle pubbliche istituzioni rappresentative i corpi intermedi, affianca le formazioni sociali autonome e spontanee, perché la società sia realmente e attivamente partecipe e le istituzioni siano, in questo modo, autenticamente espressive del corpo sociale. È un’esigenza importante in ogni democrazia, importante nella nostra Repubblica.

Vorrei riprendere alcune considerazioni che il professor Zago ci ha ricordato, con alcune successive citazioni. Partirei da quella di Cicerone nella sua polemica contro alcuni epicurei – che il professor Zago ci ha rammentato – che affermavano che non è del saggio occuparsi di politica. Sono parole che tante volte abbiamo ascoltato; periodicamente riaffiorano, tanti di noi l’hanno spesso ascoltate in ogni ambiente, per le strade, nei salotti, nei ristoranti un po’ dappertutto. Questo mi fa collegare la polemica di Cicerone che il professor Zago condivideva – e condivido anch’io – con un passaggio dell’intervento del rappresentante del personale tecnico e amministrativo, quando ha ricordato le leggi razziali.

Sono trascorsi ottant’anni delle leggi razziali, dal manifesto della razza. Questi ottant’anni ci hanno riportato a un ricordo di una pagina grave, triste e spregevole della nostra storia. E ciò mi porta a ricordarvi una frase di un giovane ventenne della Resistenza, un ragazzo la cui lettera è pubblicata tra quelle dei condannati a morte della Resistenza. La sera prima di essere fucilato dai nazifascisti, il ragazzo scrive ai genitori, grossomodo in questi termini: “Tutto questo è avvenuto perché la vostra generazione un giorno ha deciso di non volerne più sapere della politica”. È un richiamo da tenere a mente costantemente, che fa il paio con quello di Cicerone, in misura, maniera e circostanze ben più drammatiche e più pregnanti e vicine a noi.

Questa condizione, d’altronde, è quella che Montesquieu ricordava scrivendo che l’apatia dei cittadini è, per il bene pubblico, non meno grave della tirannia di un principe. Questo mi pare il filo conduttore che è emerso dagli interventi che abbiamo appena ascoltato: l’esigenza di una società consapevole, attiva, vigile, che alimenti le istituzioni in maniera genuina. Perché quando le istituzioni vedono indebolito questo rapporto deperiscono e si inaridisce la loro vitalità.

La cultura è lo strumento, l’antidoto contro questo pericolo. È stato detto anche questo stamattina: la cultura è lo strumento per rendere più forte la convivenza, per renderla più consapevole, più partecipe, e migliorare la vita delle istituzioni mantenendo quel rapporto strettamente connesso che è indispensabile tra di esse e il resto della società.

Anche per questo, la citazione di Seneca del professor Zago è piena di humor. Condivido la sua considerazione al riguardo. Il Professore ha invitato a ricordare, e nel presente metabolizzare, far proprio e acquisire il passato.

È un bel richiamo che Zago ci ha fatto nella sua prolusione: uno dei rischi che periodicamente si corre in questa stagione – come in tutte si può correre – è quello di restare prigionieri del presente, di essere confinati a un oggi senza passato e senza orizzonti, con indifferenza alla storia, alle esperienze, agli insegnamenti e ai suggerimenti del passato e con indifferenza alle prospettive future, a quello che avverrà, non dopo di noi, ma al di là delle ore e dei giorni che si vivono.

Il rischio di essere catturati da un presente immutabile, senza passato né futuro, è quello che la cultura esorcizza e sconfigge. E questo è il punto importante che è affidato al nostro sistema di istruzione.

Le università sono il luogo principe per irrobustire la cultura del nostro Paese, per evitare che si perda il senso del passato e si abbandoni la prospettiva del futuro, la consapevolezza e la responsabilità di costruire il futuro.

Alle università è affidato questo compito e io vorrei, ancora una volta, – come faccio sempre – sottolineare il ruolo fondamentale e decisivo che hanno nel nostro Paese e ringraziare i nostri atenei per quel che fanno, rivolgendomi ai Rettori degli atenei presenti, con una riconoscenza che naturalmente tiene conto – come tutti ben sappiamo – di limiti, di lacune, di errori, di distorsioni. Ma ben sapendo la grande importanza che gli atenei assicurano al nostro Paese sul piano della ricerca, dello studio e della formazione.

È un ruolo decisivo per il nostro Paese e per la nostra democrazia, per la Repubblica, perché il senso della partecipazione, della responsabilità collettiva e la cultura sono inscindibili.

Auguro, con molta cordialità, al Rettore, al Corpo accademico, agli studenti e al personale amministrativo e tecnico buon anno accademico.