Mattarella, “sprovvista delle sue autentiche ambizioni, l’Europa non avrebbe ragione di esistere”.

Riportiamo il testo integrale del discorso che il Presidente della Repubblica ha pronunciato ieri a Torre Pellice in occasione del convegno su “Il sogno europeista è nato qui. Una sfida da completare”.

Desidero innanzitutto ringraziare il Sindaco per avere esortato tutti noi presenti a un minuto di raccoglimento per il dolore per la morte di questi cinque lavoratori di questa notte. Tutti quanti – come il Presidente della Regione, il Sindaco di Torino che si sono recati questa mattina sul luogo, come tutti i Sindaci presenti, tutti i presenti – abbiamo pensato come morire sul lavoro sia un oltraggio ai valori della convivenza.

Grazie Sindaco per questa iniziativa, che richiama quanto sia importante la tutela del lavoro e della sua sicurezza.

Rivolgo un saluto molto cordiale a tutti i presenti.

E vorrei sottolineare quanto sia lieto, questa mattina, di rendere omaggio a una delle piccole Patrie che arricchiscono l’identità del nostro Paese e alle comunità che le abitano. Ciascuna di esse è essenziale per definirne i caratteri. Lo ha ricordato poc’anzi il Sindaco Cogno, citando la targa appena scoperta, con una scritta particolarmente felice: “Passa dai piccoli luoghi la grande storia e la speranza di pace che nutre l’Unione europea”.

 

Torre Pellice non è, certamente, un luogo remoto della Repubblica e non soltanto per il contributo fornito alla causa della libertà e a quella dell’Europa. Tra i tanti aspetti, assume significato che da qui provengono le origini dello stemma della Repubblica Italiana, disegnato da Paolo Paschetto, nato a Torre Pellice, e qui morto sessanta anni fa. Non fu un compito facile quello dell’artista valdese, sino al giorno in cui l’Assemblea Costituente approvò, nella seduta del 31 gennaio 1948, la versione definitiva che unisce la stella, la ruota dentata, i rami di ulivo e di quercia, simboli della volontà di pace della nazione, della forza e dignità del popolo italiano, del valore del lavoro nella vita della nostra democrazia. Mentre la stella rappresenta la continuità con il Risorgimento e, ancora oggi, indica l’appartenenza alle Forze Armate e quindi il loro legame di lealtà alla Repubblica.

 

La Repubblica volle già essere presente qui, con il Presidente Cossiga e con il Presidente Scalfaro, a testimoniare l’apprezzamento per le virtù civiche espresse in queste contrade sul terreno delle libertà e dei diritti. Perché fra le contrade in cui si è fatta la storia d’Italia, si inseriscono, a pieno titolo, queste vallate. Luoghi anche simbolici, in cui è possibile rintracciare i valori che la Repubblica ha saputo fare propri. Idealmente un filo lega fra posti apparentemente così lontani come l’isola di Ventotene e le Alpi. Lì un carcere dove vennero rinchiusi patrioti e qui gli spazi aperti della libertà. Il filo che li unisce è appunto la libertà.

 

A ricordarcelo sono due nomi che qui evochiamo con riconoscenza: Mario Alberto Rollier e Altiero Spinelli. A Spinelli, con il manifesto di Ventotene “Per un’Europa libera e unita”, dobbiamo quello che, severamente, definì non un sogno ma “un invito a operare”. A Rollier, nella cui casa di Milano prese forma, a fine agosto del 1943, il Movimento Federalista Europeo, dobbiamo la proposta di uno “schema di costituzione dell’Unione Federale europea”. Un contributo ispiratore di riflessioni per la Assemblea Costituente. In Piemonte, un altro ne venne recato da Duccio Galimberti e Antonio Repaci.

 

Piemonte, una Regione decisiva per la Liberazione dell’Italia e aperta alla causa dell’integrazione europea: e penso anche alle attività promosse dalla Consulta europea voluta dal Consiglio regionale. Vorrei ricordare, ancora, a questo riguardo, la Carta di Chivasso, del dicembre 1943, Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine, luogo di incontro tra i partigiani di queste vallate e quelli della Val d’Aosta, manifesto dell’autonomia e del pluralismo. Dopo la liberazione dal carcere di Ventotene e l’incontro di Milano, sulla strada verso la Svizzera, Spinelli è ospite della famiglia Rollier qui a Torre Pellice e pronuncia quello che viene ricordato come il suo primo discorso pubblico, come ha ricordato il Prof. Giordano, definendolo “Seme di una coscienza europea”. Da quel giorno partirà il percorso che, di lì a poco, porterà queste contrade alla scelta della Resistenza, quella contro l’invasore nazista e contro la reincarnazione del regime fascista che ne era al servizio.

 

Sono anche i giorni, in quel settembre 1943, della conclusione dei lavori del Sinodo valdese, che coincise con l’annuncio dell’avvenuto armistizio con le potenze Alleate. Siamo cioè, nel pieno di quella fase di transizione, convulsa e ambigua, che portò tante sciagure alla nostra popolazione. Fu una rottura nella storia dell’Italia, anche della stessa unità del Paese, con il Regno del Sud, da una parte, e il regime collaborazionista di Salò al Nord. L’8 settembre 1943 fu, però, anche l’ora del riscatto. Dei militari italiani che si batterono, a Porta San Paolo, a Roma, così come nelle isole del Mediterraneo, nei Balcani, pagando a caro prezzo la loro fedeltà alla Patria. Dei cittadini che da tempo avevano abbandonato ogni fiducia nei confronti degli stentorei e vacui proclami della dittatura di Mussolini.

 

Si fece strada, nel Paese, la coscienza di un nuovo inizio. La lotta di Liberazione, poi la Repubblica e la Costituzione, corroborano la riconquistata unità nazionale, la libertà e la piena partecipazione democratica, con il voto finalmente riconosciuto alle donne. Dopo la contraffazione operata dal fascismo, si comprese come il valore della Patria non si esaurisca nella aspirazione a una storia comune ma come rilevi la capacità di costruire il futuro del nostro popolo, di una comunità responsabile, espressione autentica dei valori dei cittadini del nostro Paese. Da qui, da Torre Pellice, accanto al “Pioniere”, furono stampati periodici come “La baita” e “La forgia” e i nuovi Quaderni di Giustizia e Libertà. E desidero anch’io salutare Giulio Giordano, giovanissimo partigiano di quegli anni e protagonista di quelle imprese.

 

Il 1944 è anche l’anno della prima edizione di “Stati Uniti d’Europa” di Mario Alberto Rollier. Alla sua figura ho fatto riferimento a proposito dello “Schema di Costituzione dell’Unione federale europea”, da lui proposta con l’idea di convocare un’apposita Convenzione per dotare l’Europa federale di un proprio Statuto. Un’iniziativa ripresa, all’inizio di questo millennio, con il tentativo – purtroppo fallito a causa dell’opposizione dei referendum francese e olandese – di dar vita a una vera e propria Costituzione d’Europa. Quanta lungimiranza in quegli anni della lunga vigilia che doveva portare alla conquista della pace in Europa! Consideriamo anzitutto il preambolo che, secondo Rollier, avrebbe dovuto caratterizzarla. Leggiamo: “Garantire a ogni uomo e donna i benefici di un’uguale libertà”; “perpetuare il governo del popolo, per il popolo, attraverso il popolo, nel nome dell’uguale diritto di ogni uomo di contribuire al governo di tutti”…Ancora, con una acuta sensibilità, interprete anche della storia di queste valli, all’art.1 “la libertà di coscienza e di culto, la libertà di opinione, la libertà di parola e la libertà di stampa sono garantite”. Con ulteriore visione preveggente e concreta, l’art.11: “Tutti i cittadini nati o naturalizzati negli Stati autogovernantesi dell’Unione sono contemporaneamente cittadini dell’Unione e dello Stato in cui risiedono e possono circolare liberamente in tutto il territorio dell’Unione federale”.

 

Da cosa nasceva questa spinta? Ricordiamo – dalla raccolta rieditata dalla citata Consulta europea – la frase posta sotto la testata del primo numero di quella che sarà poi, a lungo, voce del Movimento Federalista Europeo, pubblicato clandestinamente in Piemonte nel maggio del 1943. Ben prima, dunque, del Gran Consiglio che sfiduciò Mussolini e del successivo armistizio. Quel foglio, “L’Unità europea”, scriveva: “Alla fine di questa guerra l’unificazione d’Europa rappresenterà un compito possibile ed essenziale. La divisione in Stati nazionali dell’Europa è oggi il nemico più grave della impostazione e soluzione umana dei nostri problemi: la minaccia esterna, fantastica o reale, turba tutti i processi e apre la via a tutte le forze reazionarie, all’assurda marcia verso l’assurdo, verso la guerra, degli ultimi settant’anni”. Una causa promossa con vocazione di ampia trasversalità, come ci conferma la pluralità delle personalità che parteciparono alla fondazione del Movimento Federalista Europeo.

 

Ebbene, oggi parliamo – vivendole concretamente – di cittadinanza “europea”, di libera circolazione delle persone negli Stati di quella che, nel frattempo, è divenuta “L’Unione”. Parliamo dei valori di libertà e democrazia che contraddistinguono i suoi membri. Sembra di rileggere quanto veniva scritto allora. Un primo segno fu il Trattato di Londra del 1949 che diede vita al Consiglio d’Europa con sede a Strasburgo. Seguirono poi le iniziative dell’accidentato percorso di integrazione europea, evidenziate poc’anzi dall’on. Valdo Spini. Un cantiere permanente quello che caratterizza il percorso verso una “unione sempre più stretta” tra i popoli europei, come recita il preambolo della Carta dei diritti fondamentale della Unione europea. Veniamo da una stagione che ha visto l’Unione fortemente sollecitata a saper proporre soluzione politiche a questioni centrali per il futuro.

 

Guardiamo per un momento alle crisi attraversate o a quelle in corso: la pandemia, la crisi finanziaria, la guerra. Si ritiene forse possibile affrontarle fuori dall’Unione europea o con una Unione debole? È noto come nel processo di unificazione europea si sia, a lungo, dibattuto fra due prospettive o meglio, forse, fra due percorsi con la medesima prospettiva: la piena integrazione d’Europa. Quella federalista di Spinelli e quella funzionalista di Jean Monnet, messe in campo dal Ministro degli esteri francese, Robert Schuman. Certo, si è sovente presentata anche l’interpretazione, riduttiva, di una mera cornice di collaborazione economica, tuttora fatta propria da alcuni Stati membri. La battaglia di Spinelli si sviluppò poi nel Parlamento europeo, verso una vera e propria Costituzione europea. La sfida di fronte alla quale ci si è sempre trovati è quella della capacità di passare, coerentemente, dalle politiche adottate in sede comunitaria, alla loro traduzione in istituzioni. Si colgono qui sia i limiti dell’approccio funzionalista sia i passi concreti che ha permesso di fare. Nel tempo presente, si pensi al ruolo fondamentale e prezioso espresso dall’Unione su temi come quelli della salute durante il Covid (che pure non appartengono, strettamente, alla competenza comunitaria) e del rilancio delle economie, con i programmi del NGEU e del SURE, che permettono, anche al nostro Paese, di promuovere, fra gli altri, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

 

Contemporaneamente va osservato che passi avanti sul terreno federalista si riscontrano sin dal sorgere della prima importante tappa che apre al cammino europeo: la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio, lanciata da Schuman, in cui, con grande significato, si dà vita a un’autorità internazionale “indipendente dai governi”. Credo che sia evidente a tutti – o quantomeno a molti – come l’espressione di Spinelli “l’Europa sogno o invito a operare” si sia trasformata oggi in un dovere. Ho ricordato la questione della guerra portata dalla Federazione Russa all’Ucraina come la sfida di fronte alla quale si trovano oggi i popoli europei. Spesso la drammatica sofferenza delle guerre ha spinto verso nuovi equilibri e ordini internazionali.

Per restare al Novecento, è stato così con il Primo conflitto mondiale e la nascita della Società delle Nazioni. Così con il Secondo conflitto, con le Nazioni Unite e l’avvio del processo di integrazione europea.

 

In entrambi i casi, l’aspirazione era porre fine alla guerra come strumento di risoluzione delle controversie, come recita la nostra Costituzione. E, a lungo, prima sul crinale della “guerra fredda”, poi della caduta della “cortina di ferro”, la stabilità è prevalsa. La nostra Costituzione, agli art. 10 e, soprattutto, 11, impegna l’Italia a promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare pace e giustizia fra le Nazioni. La pretesa che siano le guerre a disegnare gli equilibri corrisponde alla logica del prevalere del più forte sul più debole. La logica che ha condotto alle nefandezze del Novecento. Per uscire dalle quali sono state necessarie tenacia e risolutezza.

 

Alcide De Gasperi, ritenuto, a ragione, uno di Padri fondatori oltre che della nostra Repubblica anche del processo di integrazione europea, forte della sua esperienza di uomo di frontiera, osservava che “la principale virtù della democrazia è la pazienza. Bisogna attendere alle cose con tenacia e vigilanza, con la coscienza che le cose debbano sempre maturarsi”. La pazienza “di fronte alle lentezze dell’uomo”. L’unità europea è un’impresa in salita, dove alle difficoltà e alle visioni anguste si devono contrapporre fattori ideali e politici. L’unità europea è l’ambizione di completare uno storico percorso di innegabile successo. Sprovvista delle sue autentiche ambizioni, l’Europa non avrebbe ragione di esistere. Non potrebbe esistere. L’ambizione, in tempi di guerra, di conseguire presto la pace per un ordine internazionale rispettoso delle persone e dei popoli. L’ambizione, in tempi di pace, di preparare la pace del futuro, il suo consolidamento per la giustizia tra le nazioni e fra i popoli. È questa la permanente attualità dell’invito a operare di Spinelli.

 

Da raccogliere, in ogni stagione.