Medioriente, una polveriera pronta ad esplodere.

Cresciuto a valanga nelle settimane successive all’invasione israeliana della Striscia di Gaza, lo scontro nell’area ha risvegliato tutta una serie di conflitti a bassa-media intensità presenti da anni e mai risolti.

Dunque, vogliamo riepilogare? Giusto per fare un sommario quadro della situazione nell’area più esplosiva del globo, quella mediorientale e giù a sud fino al Corno d’Africa.

L’attenzione e la preoccupazione del mondo sono tornate a posarsi da quelle parti con maggiore intensità a partire dal 7 ottobre, con la mattanza di Hamas in Israele. Lo scontro scatenatosi nelle settimane seguenti, con l’invasione israeliana della Striscia di Gaza, ha per così dire “risvegliato” tutta una serie di conflitti a bassa-media intensità presenti nell’area da anni e mai risolti, sempre pronti a intensificarsi.

Israele sta distruggendo Gaza, e forse anche Hamas, ma l’esito della guerra sarà una generazione di palestinesi, anzi più di una generazione, che crescerà nel risentimento e nell’odio verso lo stato ebraico, col rischio concreto che – se non si darà al più presto vita ad uno Stato di Palestina autorevole e dotato dei mezzi necessari per crescere e per mantenere l’ordine interno – molto probabilmente nuovi gruppi terroristici nasceranno all’insegna di motti incitanti alla distruzione del nemico sionista, esattamente come è oggi Hamas.

Israele è posto sotto pressione a nord, dalle milizie di Hezbollah che detengono quote importanti di potere in Libano; a nord-est, ai confini siriani e presso le alture del Golan ove possono operare con incursioni a sorpresa miliziani liberi di muoversi in Siria e legati all’Iran; a est, in Cisgiordania dove gli insediamenti dei coloni dopo aver usurpato le terre palestinesi sentono ora la pressione esercitata da incursioni provenienti da oriente, creando inoltre preoccupazioni interne al Regno di Giordania, il quale inevitabilmente deve assumere una postura ostile nei confronti di Gerusalemme; a ovest, alla frontiera col Sinai egiziano dove rischia ora di crearsi un nuovo fronte non solo per la possibile presenza di gruppi legati all’ISIS, ma anche per l’irrigidimento dell’Egitto, giunto a minacciare la rottura dell’accordo di pace fra i due paesi nel caso Israele decidesse di invadere anche Rafah, determinando una pressione ingestibile sull’omonimo valico di confine. Il Cairo lo vuole assolutamente mantenere blindato, terrorizzato da una possibile marea umana riversantesi sul suo territorio, con conseguenze drammatiche anche per la sicurezza interna.

Ma il fronte israeliano è solo l’epicentro della tensione. Molti altri ne esistono. A cominciare naturalmente dal Mar Rosso, via marittima fondamentale per gli scambi commerciali mondiali e in particolare europei, sottoposto agli attacchi missilistici degli Houthi yemeniti, armati e finanziati dall’Iran. Per questo sono bombardati dagli americani col risultato, forse cercato, di mostrarsi di fronte alle masse arabe come un movimento in grado di combattere e far paura agli odiati occidentali, ora impegnati in una missione militare assemblata dalla UE, a comando italiano, di protezione delle navi mercantili: c’è in tutto ciò anche il messaggio implicito che l’Iran sciita sta inviando alle popolazioni musulmane, ovvero che loro, gli sciiti, come ad esempio gli Houthy, sono davvero in grado di contrastare i “sionisti” e l’occidente, a differenza dei sunniti arabi che con quest’ultimo fanno affari e, con gli Accordi di Abramo, vorrebbero addirittura riconoscere lo Stato di Israele, come già fatto dall’Egitto e da altri paesi sunniti.

A sud del Mar Rosso, nel Golfo di Oman, vi sono già stati missili lanciati dall’Iran su navi israeliane e conseguenti risposte da parte di questi ultimi. E sempre a meridione, dalle parti del Corno d’Africa, forti sono le tensioni fra Somalia (che ha problemi di gestione interna dovendo combattere la forte presenza qaedista dei miliziani Shebab) ed Etiopia. Una nazione, questa percorsa da una latente guerra civile: infatti, dopo aver perduta l’Eritrea è alla disperata ricerca di uno sbocco sul Mar Rosso, ponendosi in contrasto con l’Egitto e con il Sudan a causa della avvenuta costruzione della Diga del Rinascimento sul Nilo, che minaccia in termini esistenziali la nazione dei faraoni, come millenni di storia antica ci hanno insegnato.

E sempre nel sud della penisola arabica l’ormai ultradecennale vicenda yemenita non si è affatto conclusa, anche se da qualche tempo vive una fase conflittuale ridotta che però non ha ridotto le sofferenze di una popolazione civile affetta da fame, malattie, disperazione. E per concludere, last but not least, la Siria: ove il regime del carnefice al-Assad controlla circa due terzi del territorio ma dove nel restante terzo agiscono cellule ISIS, gruppi filo-iraniani che attaccano basi americane, turchi che nel nord combattono i curdi, missili israeliani che di tanto in tanto colpiscono postazioni avversarie, russi posizionati con aerei e navi sul Mediterraneo. E l’Iraq, paese nel quale la stabilità è di là da venire, ove sono attive milizie curde per l’indipendenza attaccate dai turchi, guerriglieri islamici sciiti, terroristi dello stato islamico, americani a difesa delle proprie basi.

Insomma, una polveriera. Che gli eventi innescati il 7 ottobre rischiano di far esplodere.