Non è più la piazza, è lo studio televisivo
La premier Meloni ha una facilità di parola nel colloquio con la gente e con gli elettori che è il risultato di una conquista maturata in lungo tempo, trascorso nei comizi politici, quando si deve conquistare l’elettorato e consolidare quello che già si ha dalla propria parte. Questa arte della retorica fa parte del cursus honorum di ogni politico di razza, e la premier l’ha percorso tutto da quando è scesa nell’agone politico.
Tuttavia la vita politica ora si è spostata nell’agone virtuale del regno dei media, di cui la televisione è uno degli strumenti sempre presenti, pur cambiando pelle: dalle tribune statiche allo stile più amichevole adottato negli ultimi anni.
Meloni si presenta al TG della sera di La7 con un completo rosa pallido che non fa onore al suo incarnato tendente all’olivastro, pur essendo una bionda naturale. Sebbene ci abbiano insegnato che il rosa — quello più acceso — sia il colore prediletto delle bionde, in questo caso sarebbe stato più adatto un blu o un verde, che trasmettono serenità e invitano alla benevolenza, come il rosa, ma con più equilibrio.
Gli orecchini discreti; la camicia con il primo bottone slacciato, ma senza un filo di collana, suggeriscono la versione “mi sono vestita all’ultimo in camerino, scusate”, che non è da premier. I capelli lunghi, non raccolti in una bella acconciatura — e non la solita coda — anticipano quel che accadrà dopo: li toccherà ogni volta che
l’imbarazzo sale. Inoltre i capelli lisci tendono ad accentuare i tratti del viso, che appaiono stanchi, vuoi per i ritmi serrati dell’attività di governo, vuoi per un leggero dimagrimento, vuoi per la stagione invernale che non aiuta.
In questa mise rosa confetto lo spettatore fatica a concentrarsi sulla figura e, di riflesso, sulle parole. Gli occhi vengono prima delle orecchie: e solo dopo, se ci interessa, segue l’ascolto.
La posa, complice lo sgabello senza schienale, è rigida e proiettata in avanti, come se fosse un interrogatorio e non un colloquio cordiale, seppur semi-istituzionale. Il conduttore la chiama per cognome e lei risponde con il titolo professionale: lo stilema dell’interrogatorio è completo.
La retorica gioca in difesa
Quando partono le domande — tutte e sette — la posa è occhi socchiusi, sguardo filtrato e tagliente, braccia incrociate in attesa del colpo. Poiché le domande erano già note, l’atteggiamento tradisce che non si trova a suo agio: ci può stare, perché è uno studio televisivo e non il “salotto di casa”. Ma lo spettatore nota che la premier è sulle spine.
Nelle prime due domande il copione scivola tra postura rigida, sguardo traverso, muscoli del viso un po’ tirati, deboli sorrisi e voce impostata: deve dimostrare — prima di tutto a se stessa — di conoscere la materia talmente bene da spiegarla a chi le sta di fronte.
Dalla terza domanda — quella su Gaza — cambia la postura: per la prima volta si tocca i capelli, che non le erano scivolati sul volto. È il gesto di chi prende fiato, organizza la risposta e distrae quel tanto che basta per rendere l’intervento più “sicuro”. Le mani entrano nell’inquadratura: spiegano, come fanno tutti gli italiani, ma con il tono della maestra che tiene lezione.
Anche la voce cambia: più profonda e a tratti stridula. Mostra, involontariamente, ciò che vorrebbe occultare: la difficoltà di affrontare l’intervista, il dovere e non il piacere che la guida, e quel sentirsi superiore a tutti — sia chi domanda, sia chi ascolta. La timidezza, fondo caratteriale della leader, non sfugge a chi sa osservare.
Le domande dalla quinta alla settima sono una replica della terza: il copione si incrina ma non crolla. Domande non improvvisate, risposte recitate con impegno e sorriso amicale. Gli occhi, di un bel blu, si sgranano quando è sorpresa in leggero contropiede; i capelli ora vengono accarezzati. Tutto racconta una Meloni che vuole restare dove sta — al Governo — ma teme che forse i suoi stiano remando contro. Impossibile scalzarla, ma indebolirla… perché non provarci?
Sull’ultima domanda la scivolata: un riferimento a un altro giornalista, di un altro programma, protagonista di vecchi commenti poco simpatici. Citare “l’invitato non presente a tavola” non porta fortuna, oltre a regalargli visibilità. Mostra che il rancore è un sentimento coltivato: e anche se nessuno ricorderà più il casus belli, tutti si chiederanno perché la premier non gradisca le critiche, neppure a distanza.
La leadership in bilico tra sicurezza e timidezza
Per i dieci minuti dell’intervista, Meloni ha lasciato trapelare un tratto umano che la piazza nasconde e la telecamera rivela: la fragilità del leader che deve mostrarsi sempre più forte di quanto si senta davvero.
Ha rassicurato chi la sostiene e scoraggiato chi la vorrebbe rimandare a casa. Ma soprattutto ha cercato di rassicurare se stessa: che può continuare così, senza mostrare ripensamenti.
Non una sovrana del piccolo schermo: una timida al Governo, obbligata alla scena.

