Meloni, la contesa è un istinto: a chi giova?

Il governo di un paese così vario e complicato suggerisce modi più felpati di condurre le battaglie politiche. Soprattutto da parte di chi si trova a godere del consenso momentaneamente più ampio.

Probabilmente vincerà, alla fine, la Meloni in Abruzzo. E se vincerà si sentirà in pieno diritto di insistere su quel tono così battagliero, ma anche così divisivo, che fa parte ormai della sua recita pubblica. E però non si capisce, davvero non si capisce, per quale diavolo di ragione un capo di governo debba parlare come se fosse sempre il capo di una fazione.

C’è sempre in lei un tono sopra le righe, un eccesso di vittimismo e di converso un eccesso di trionfalismo che mescola spirito di setta e postura di leader in modi e dosi che alla fine fatalmente si rivelano controproducenti. Meloni è una leader capace che crede molto in quello che fa e che finisce col suscitare una certa simpatia anche presso chi non la vota e probabilmente non la voterà mai (piccola nota autobiografica).

È “arrivata”, per così dire. Ha compiuto una scalata politica che merita considerazione anche da parte degli avversari. Ma appunto per questo risulta assai difficile comprendere perché si ostini a recitare una parte così divisiva e così poco istituzionale perfino quando tutto sembra arriderle. Il governo di un paese così vario e complicato suggerisce modi più felpati, meno abrasivi di condurre le battaglie politiche. Soprattutto da parte di chi si trova a godere del consenso momentaneamente più ampio.

Guardare oltre lo steccato non è una furbizia, è un dovere. Ma può diventare anche una convenienza. Soprattutto in tempi nel quali una larga fetta di opinione pubblica non sa più – politicamente – a che santo votarsi. Si dirà che per Meloni la contesa è un istinto. Seguendo il quale però lei rischia di essere lo scorpione di se stessa.

 

Fonte: La Voce del Popolo – 7 marzo

[Articolo qui riproposto per gentile concessione del direttore del settimanale della Diocesi di Brescia]