Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Premessa. 

In giorni così difficili e delicati come quelli che il coronavirus ci costringe a vivere risulta francamente deprimente il dibattito/spettacolo della nostra classe politica con riferimento all’introduzione, all’evoluzione e applicazione del MES. E’ triste “vedere” il Presidente del Consiglio che attacca l’opposizione, l’opposizione che denuncia avvenute sottoscrizioni, il senatore Monti che scarica tutte le responsabilità sui giovani Meloni e Salvini, i leader del Movimento 5 Stelle che dichiarano che mai attiveranno il MES, il PD e Forza Italia che in silenzio portano avanti, a torto o ragione, la strategia di adesione.

La Storia del MES.

Il MES, figlio di due strumenti transitori di stabilizzazione finanziaria, fu “concepito” nell’estate del 2011 con il consenso del IV Governo Berlusconi-Lega, Meloni giovane Ministro e Salvini semplice deputato europeo ed è “nato”, nella primavera del 2012 con il Governo Monti sostenuto da una larga maggioranza che spaziava dal PdL al PD (di Bersani per dirla tutta) con il M5S ancora fuori dal Parlamento. 

Ma non è questo il punto e l’attardarsi di tutta la politica nella ricerca di chi ha la responsabilità di questa paternità è la prova della pochezza dell’attuale stagione politica. Infatti nel dicembre 2017 è iniziata una lunga, complessa e ahimè riservata partita tesa alla revisione del trattato istitutivo del MES, approvata in linea di massima il 21 giugno del 2019, che successivamente ha costituito il motivo del duro confronto tra la Lega, ritornata all’opposizione, e il M5S, alleatosi con il PD, con il risultato a fine dicembre di un compromesso basato sulla garanzia data dall’attuale governo di non firmare modifiche senza una dovuta informativa al Parlamento, chiamato successivamente alla ratifica (come già in passato). Il dibattito di questi giorni con l’inserimento della possibilità di una ulteriore modifica del MES per contemplarne l’uso ai fini della lotta alla drammatica pandemia che stiamo vivendo va quindi inserito in questa modifica più ampia, che sembra essere stata dimenticata, e che invece dovrebbe costituire il cuore del dibattito politico, atteso che i critici delle modifiche hanno richiamato, a torto o a ragione, che le modifiche proposte erano di fatto finalizzate ad eventuali futuri aiuti alle banche franco-tedesche e a creare le condizioni “normative” per una ristrutturazione del debito italiano in danno dei risparmiatori privati. 

Il nodo nascosto.

In altri termini le roboanti dichiarazioni “mai utilizzeremo il MES”, “non abbiamo sottoscritto il MES”, “il MES è una possibilità per fronteggiare la crisi connessa alla pandemia”, sono affermazioni prive di significato politico perché il cuore delle decisioni da prendere attiene, da un lato al blocco delle modifiche in discussione prima dell’esplosione della pandemia e, dall’altro, alla ulteriore modifica nel frattempo sopraggiunta relativa alla possibilità per i paesi Euro di ricevere prestiti fino al 2% del PIL nazionale. Non richiamare la riflessione sui due distinti blocchi e affermare comunque che non si intende utilizzare il MES, eventualmente sottoscritto, è fonte di drammatiche confusioni destinate a essere pagate a caro prezzo. Una classe politica autenticamente responsabile dovrebbe pronunciarsi distintamente per i due blocchi di modifiche, entrando nel merito delle conseguenze a prescindere dalla successiva utilizzazione del trattato rinnovato. Peraltro anche la sola modifica connessa all’emergenza sanitaria va valutata con grande attenzione laddove non è chiaro come il MES intende finanziare i 300 miliardi di euro previsti per la specifica emergenza sanitaria potendo, allo stato delle cose, non solo ricorrere al mercato ma anche alla quota sottoscritta e non versata dagli stati membri, con il paradosso che l’Italia che aprioristicamente ha deciso di non utilizzare il MES si trovi a dover finanziare il MES per circa 35 miliardi di euro! Confondere i due filoni di modifiche, di fatto riducendole ad una, significa avere introdotto ingenuamente o cinicamente un “cavallo di troia” nel complesso iter di approvazione del meccanismo europeo di stabilità con gravi, oggettive responsabilità politiche.

La proposta.

In un Paese nel quale la classe politica non ha paura di assumersi le proprie responsabilità oggi, non domani, il Parlamento e ogni singolo cittadino dovrebbero disporre del testo istitutivo del MES articolo per articolo con evidenza di tutte le modifiche, anche recenti, apportate in termini di “cancellazioni” e “integrazioni”; l’unico modo per evitare equivoci e fraintendimenti. Ma siamo pronti a scommettere che questo passaggio di trasparenza e verità nei prossimi giorni non lo vedremo con grave discapito della democrazia del Paese.

Il ruolo della BCE.

Per quanto sopra espresso è comunque evidente che il “Salva-Stati”, modificato o meno, come più volte affermato dal Presidente del Consiglio, non è lo strumento idoneo a fronteggiare la “crisi pandemica”. Per tale ragione, nelle more di un serio dibattito su un “fondo solidaristico” di nuova costituzione, occorre capire quanti dei 750 miliardi di euro della BCE sono destinati – nel 2020 – all’Italia ed in particolare se le modalità “distributive” restano sostanzialmente proporzionali. Al riguardo andrebbe immediatamente chiarito se, per quanto sopra, è  realistica l’attesa di acquisti di titoli italiani da parte della BCE per un valore complessivo di 130 miliardi di euro.

La situazione italiana.

Con queste consapevolezze, per agire sulla nostra situazione interna, bisogna quantificare, intanto ad oggi, i costi in termini di PIL della crisi pandemica. Al riguardo appaiono realistiche stime che quantificano  in 40 miliardi di euro mensili le perdite relative ai mesi di marzo ed aprile e dei mesi successivi “ceteris paribus”. Volendo ottimisticamente prevedere una prudente ma veloce uscita nei 4 mesi successivi ad aprile stiamo parlando di almeno 160 miliardi di euro di minori redditi. E’ questa la situazione con la quale bisogna confrontarsi. 

La valutazione delle “manovre” (decreto legge 17 marzo 2020 n. 18 e decreto legge 8 aprile 2020 n. 23).

La lettura combinata dei due decreti si presta a qualche preoccupata considerazione. In linea di principio bisogna distinguere, come è noto, tra misure che incidono direttamente sui redditi (i 600 euro per i 5 milioni stimati di potenziali fruitori e tutte le spese sanitarie) e misure che incidono sulla variabile creditizia. In questo senso una approssimata lettura permette di stimare in 20 miliardi di euro l’impatto sui redditi e in 5 miliardi di euro le risorse finalizzate alla mobilizzazione del credito attraverso il rafforzamento della dotazione dei fondi di garanzia MCC e SACE. La domanda politica che bisogna porsi è, pertanto, ridotta all’osso la seguente: quanto reddito dei 160 miliardi di euro che ci apprestiamo a perdere devono essere garantiti alla struttura sociale del Paese per non esplodere e quanto realisticamente vale la manovra creditizia? Procedendo con ordine appare realistico quantificare in almeno 100 miliardi di euro l’ammontare complessivo della manovra tesa a sostenere i redditi dei cittadini. Di contro avere immaginato che con fondi di garanzia aggiuntivi nell’ordine dei 5 miliardi di euro si possano mobilizzare 750 miliardi di euro di nuovo credito come dichiarato dal Governo e dai suoi più autorevoli rappresentanti è francamente, semplicemente, stucchevole. In ogni caso la scelta ideologica di addossare tutti i costi dei rischi di questa tragedia economica al bilancio dello Stato attraverso non solo i fondi di garanzia ma, soprattutto, la garanzia di ultima istanza dello stato per quanto sarà concesso dal sistema bancario appare una scelta di grave responsabilità politica, seppure se ne coglie la necessità, atteso che un sistema bancario oramai a direzione estera difficilmente si renderebbe funzionale ad una massiccia azione creditizia. Di fatto pagando così un ulteriore drammatico prezzo alla svendita di un comparto strategico come quello in oggetto. All’uopo il credito aggiuntivo che si potrà mobilizzare entro fine anno non appare superiore ai 200 miliardi di euro. Per quanto sopra volendo quantificare la manovra aggiuntiva in termini di “deficit” abbiamo bisogno di almeno 85 miliardi di euro (80 miliardi di euro per integrazione reddito e 5 miliardi di euro per integrazione garanzie) di ulteriore deficit oltre ai 25 miliardi di euro già impegnati con i due decreti e al deficit autorizzato (35 miliardi di euro) per il bilancio 2020 per un valore complessivo di 145 miliardi di euro. E’ questa la dimensione macroeconomica che deve guidare il confronto con l’Europa per sostenere un ruolo attivo positivo della BCE e una veloce approvazione del  “fondo per la ripresa” nell’ordine anche solo di 300 miliardi di euro complessivi (e una successiva assegnazione all’Italia di almeno 60 miliardi di euro). La partita, purché si sappia giocare, non appare persa a priori ma certo è difficilissima; per questo occorrono determinazione e lucidità.

Verità e scelte.

Con queste consapevolezze occorre ricordare a noi stessi che i trattati come il MES vanno modificati all’unanimità. Quindi che nessuno domani dica che non si poteva non aderire. Se aderiremo, dopo tutti i necessari chiarimenti, si tratterà di una scelta. Che nessuno la spacci come scelta obbligata per salvare il Paese quando nel Paese c’è veramente chi muore per salvarlo.