Le cronache riportano casi di violenza, non isolati, che coinvolgono i minori. Le cause sono svariate. Ad esempio, dietro ogni caso di abbandono precoce degli studi, di inadempienza all’obbligo o di disagi comportamentali degli alunni ci sono cause che conducono quasi sempre all’inadeguatezza dei contesti familiari di provenienza. Gilbert Cesbron aveva scritto sul tema del disagio e delle fragilità minorili un libro eloquente, a cominciare dal titolo – “Cani perduti senza collare” – ambientato nell’immediato dopoguerra. La figura del giudice minorile Julien Lamy – che sta sullo sfondo delle vicende narrate – riassume l’atteggiamento più efficace: la capacità di ascoltare, conoscere, spiegare, utilizzare l’esempio destreggiandosi tra benevolenza e dovere di far rispettare le regole.
Francesco Provinciali
La cronaca ci propone con accentuazioni sempre più incalzanti episodi in cui i minori sono al centro di contesti di violenza subita o agita. Ci sono padri e madri che scaricano sui figli le proprie frustrazioni esistenziali o più semplicemente la propria immaturità e incapacità genitoriale: l’abbandono fisico e affettivo è forse il caso più ricorrente ma non sono rare situazioni di violenza fisica e sessuale, comportamenti agghiaccianti e innaturali perpetrati su creature in tenerissima età, come quel padre che recentemente ha ammesso di aver scaraventato fuori dalla finestra la figlioletta di due anni.
L’esperienza di ascolto consente di conoscere situazioni che vanno dal disagio familiare a contesti promiscui dove un figlio è spesso motivo di disturbo e un ostacolo al delirante abbandono alle pulsioni di egoismo e narcisismo sfrenato degli adulti, oppure viene fatto oggetto di veri e propri atti di abuso, spesso alimentati dalle droghe e dall’alcool, altre volte in assenza di relazioni affettive primarie, di disinteresse o di conflitti di coppia. Quanto tutto questo si ripercuota – nel migliore dei casi – sull’insuccesso formativo e sul fallimento scolastico dei minori lo si deduce dalle segnalazioni che i servizi sociali o gli stessi istituti inoltrano alle autorità giudiziarie minorili a partire dalla scuola dell’infanzia.
Dietro ogni caso di abbandono precoce degli studi, di inadempienza all’obbligo o di disagi comportamentali degli alunni ci sono cause che conducono quasi sempre all’inadeguatezza dei contesti familiari di provenienza. Ciò accade anche nelle situazioni in cui i ragazzini e gli adolescenti in genere si rendono essi stessi protagonisti di fatti di violenza feroce e apparentemente inspiegabile: è di questi giorni la vicenda del clochard picchiato selvaggiamente da alcuni minorenni in zona Trastevere a Roma e ripresa da filmati e telecamere. Non è la prima volta che accade, scorrendo le cronache degli ultimi anni ci si rende conto che queste aggressioni sono frequenti, al pari degli atti di bullismo verso i compagni fragili o disabili, senza parlare delle vere e proprie bande che imperversano in azioni di furto, scontri tra fazioni armate di spranghe, coltelli, persino pistole: non si tratta di un fenomeno solo italiano, ci sono zone in America latina dove i minori si rendono protagonisti di sequestri di persona, ratti di bambine, ricatti, racket di usura, furti, omicidi, rispetto a cui le forze dell’ordine sono impotenti e a volte colluse.
Basti citare la ‘Mara Salvatrucha’ e la ‘Mara 18’, due vere gang di giovani teppisti capaci di tutto, a colpi di machete. Una cancrena che si diffonde e si esporta, sommandosi alla microdelinquenza locale.
Ci sono poi episodi in cui i minori si rendono protagonisti di atti di sfida mettendo alla prova se stessi e la propria incolumità: saltare da un balcone, salire su un tetto, sdraiarsi sui binari o attraversarli all’ultimo minuto mentre un treno è in arrivo, utilizzare smartphone e tablet per mettere in rete azioni di minaccia, foto e video a sfondo sessuale, giochi estremi che provocano soffocamento, quelle che un tempo si chiamavano bravate ma che erano caratterizzate da ingenuità di fondo mentre ora assumono toni connotativi sempre più estremi e agghiaccianti.
Gilbert Cesbron aveva scritto sul tema del disagio e delle fragilità minorili un libro eloquente, a cominciare dal titolo – “Cani perduti senza collare” – ambientato nell’immediato dopoguerra. Temi, come si vede, ricorrenti con diverse carature in epoche di agiatezza ovvero di crisi: resta la soccombenza della condizione minorile, delle vittime, dei carnefici e – nel tempo – della loro imperscrutabile intercambiabilità. Si tratta di un problema generazionale che si ripete, probabilmente il più doloroso e difficile per l’intera società a cui risulta arduo trovare soluzione scegliendo tra comprensione dei contesti di vita e severità del giudizio, sia che riguardi la responsabilità genitoriale o le colpe dei minori stessi. La figura del giudice minorile Julien Lamy – che sta sullo sfondo delle vicende narrate da Cesbron – riassume anche con valenza attuale l’atteggiamento più efficace: la capacità di ascoltare, conoscere, spiegare, utilizzare l’esempio destreggiandosi tra benevolenza e dovere di far rispettare le regole, per far emergere nei ragazzi e nelle loro famiglie di origine – in un contesto apparentemente senza speranza – la consapevolezza circa ciò che è bene e ciò che è male.
Non si tratta di ingenuo lassismo ma di una scelta che fa leva sull’umana comprensione. Non si riduce a mera debolezza perché consiste piuttosto nella capacità di coltivare il seme della speranza. Utilizzare il buon esempio e promuovere una sana educazione sentimentale sono due vie da percorrere anche laddove tutto sembra compromesso.