Il crescente astensionismo elettorale è sempre più preoccupante, se vogliamo continuare a salvaguardare e rafforzare la qualità della nostra democrazia. Quale può essere la ricetta concreta per iniziare ad invertire la rotta
Sono d’accordo che l’astensionismo elettorale sia preoccupante. Purtroppo mi pare che troppo poco se ne preoccupino sia i partiti sia l’opinione pubblica. Non ci si rende conto che percentuali così basse di votanti mettano a rischio la stessa credibilità della democrazia. Il motivo dell’astensionismo? Direi che abita nel cuore stesso dell’attuale cosiddetta “politica”. Mi riferisco all’assenza di visione e quindi all’assenza di passione. Anche perché i partiti sono sempre più “personali” e poco animati da sogni, da visioni per cui valga la pena impegnarsi e impegnare. Basti vedere i dibattiti politici: sono ormai scontati e banali. Si sa già prima di iniziare come si svolgono: quel che conta è opporsi sempre all’altro in una polarizzazione triste e inutile. Si fa davvero fatica a trovare luoghi e spazi ove si dibatta – anche vivacemente – per trovare qual è il bene comune di tutti, che dovrebbe essere lo scopo di ogni dibattito soprattutto politico.
La crisi dei partiti certamente non aiuta ad incrementare la partecipazione politica dei cittadini italiani. Intravede all’orizzonte il superamento dei partiti personali e il ritorno a partiti radicati nella società, con un progetto politico chiaro e con classi dirigenti democraticamente selezionate?
Credo sia necessario promuovere ovunque dibattiti che favoriscano una nuova cultura politica che disegni il futuro del Paese (o delle regioni e città) che si vuole e per il quale vale la pena spendersi. Non parlo, ovviamente, di appiattimenti. Ciascuno deve proporre le sue visioni ma in vista di raggiungerne una che accomuni i diversi. L’esempio più calzante è quanto è avvenuto nella scrittura della Costituzione Italiana nell’Assemblea Costituente. Partiti diversi per ispirazione, per storia e per cultura si sono confrontati anche duramente per raggiungere la visione di un Paese che fosse per tutti e non solo per una parte. A mio avviso dovremmo recuperare uno spirito analogo a quello del primo dopoguerra, visto che siamo di fronte ad un passaggio d’epoca delicatissimo.
Quale può essere il concreto contributo che possono dare i cattolici italiani per rinnovare la politica e, al contempo, rilanciare la partecipazione politica ed elettorale?
Credo sia anzitutto da augurare quanto avvenne poco prima della scrittura della Costituzione, ossia all’iniziativa di alcuni intellettuali cattolici i quali di fronte al dramma provocato dai totalitarismi nazisti e fascisti, come anche dalla seconda guerra mondiale, sentirono l’obbligo di radunarsi per immaginare il Paese che avrebbero dovuto ricostituire. Mi riferisco al Codice di Camaldoli. Oggi ci troviamo di fronte ad un tempo analogo: i cattolici (assieme a uomini e donne di buona volontà) debbono immaginare quale Paese vogliamo, quale Europa desideriamo e proporlo con creatività e audacia al mondo cattolico. C’è bisogno che i cattolici abbandonino una autoreferenzialità che li porta a litigi interni (conservatori e progressisti) e suscitino un nuovo interesse per la società italiana perché sia più solidale e più fraterna. È in questa prospettiva che si può sostenere che l’assenza dalla vita politica e dalla partecipazione alle elezioni è tra le colpe di omissione.
La radicalizzazione del conflitto politico non è certamente la strada più utile e più credibile per ridare autorevolezza e credibilità alla politica e alla democrazia. ‘La politica di centro’, molto cara alla tradizione democratico cristiana e alla storia del cattolicesimo politico italiano, può ancora giocare un ruolo nell’attuale contesto politico italiano?
Purtroppo la polarizzazione della politica è una sorta di patologia che non favorisce una visione larga del bene comune della società. È verosimile che l’assenza dal dibattito politico della grande maggioranza che compone la parte centrale della società (che non corrisponde al cosiddetto “centro” politico) non favorisce la partecipazione, come ho già accennato prima. C’è bisogno di creatività sul piano della cultura politica che promuova una nuova passione. Non credo che oggi ci siano le condizioni per tornare all’unico partito cattolico. Senza dubbio però i cattolici sono chiamati a riscoprire la loro responsabilità per favorire la crescita di un Paese che sia per tutti e particolarmente per le parti più deboli della società. È una responsabilità che deve essere compresa dai credenti. Il Vangelo infatti chiede di essere lievito di una nuova società che si più giusta e più fraterna. Alla creatività dei credenti è affidata la responsabilità di trovare le forme per l’azione politica.

