Se si guarda agli eventi che hanno riportato la guerra in Europa, si può dubitare che l’Occidente voglia realmente fare la pace con quello che una sparuta ma potentissima élite al suo interno ritiene essere il nemico. Si ha piuttosto l’impressione che si sia voluto costruire un nemico per fare la guerra. Solo il riconoscimento del nuovo assetto multipolare del mondo potrà riportare la pace.
Giuseppe Davicino
Ci è voluto negli anni impegno, metodo, calcolo, spregiudicatezza e incoscienza per costringere il nostro potente Vicino e Fratello (senza il quale l’altro polmone dell’Europa, quello slavo, non respira pienamente) a ricorrere sciaguratamente alla guerra in Ucraina come extrema ratio per difendere se stesso. Mosca forniva all’Europa energia a basso costo, indispensabile a sostenere il modello mercantilista tedesco, ha pazientemente sopportato l’allargamento della Nato ad Est in violazione degli impegni che lo stesso Occidente si era preso con la Russia; ha sopportato la militarizzazione estrema dell’Ucraina, la disseminazione nei territori ucraini di decine di laboratori per la guerra batteriologica ai suoi confini, la pulizia etnica dei suoi cittadini per otto lunghi anni (in Donbass è stato sterminato l’equivalente della città di Belluno), ha ripetutamente chiesto di addivenire a una soluzione diplomatica con gli accordi di Minsk, ha avvisato che faceva sul serio, che la sua sopportazione avrebbe avuto un limite.
Ebbene chi guida l’Occidente cosa ha fatto? Ha atteso con frenesia quel momento anziché scongiurarlo, puntando su un rapido collasso del suo avversario. Invece a collassare rischia di essere la parte europea dell’Occidente, mentre proprio in questi giorni al Forum economico orientale di Vladivostok si celebra la leadership globale, economica e tecnologica, dell’Asia. Per inseguire il progetto dell’unipolarismo con il quale chi comanda nei fatti l’Occidente, si illude di potere allo stesso modo dominare il mondo, un progetto che ormai è anacronistico (noi i BRICS li dobbiamo e li dovremo riconoscere come co-protagonisti del governo mondiale), si sta rovinando l’economia, i livelli di vita e la tenuta sociale dei popoli europei.
La politica nonostante il tempo propizio di campagna elettorale, non sta indicando alcuna soluzione. I partiti sul tema della guerra danno l’impressione di eseguire tutti lo stesso spartito: nessuno smarcamento dalla linea della guerra ad oltranza che sta dissestando i bilanci delle nostre famiglie e imprese.
L’unica importantissima eccezione è rappresentata dal presidente del Consiglio, il quale, oltre la sua insistita retorica bellicista per compiacere i nostri alleati – il minimo sindacale richiesto al capo del governo di un Paese vinto quale noi siamo – nei fatti cerca in tutti i modi di ridurre le lacerazioni della guerra e di prepararsi, anche con grande pragmatismo (é il caso dei partners con i quali si realizza la politica italiana di diversificazione energetica in Africa) al dopoguerra, ovvero al Secolo dei BRICS.
I partiti attuali corrono il concreto rischio di venire giudicati non tanto nelle urne il prossimo 25 settembre quanto nelle bollette che potrebbero arrivare nell’autunno-inverno e per le conseguenze che queste avranno sul tenore di vita e sulla salute delle persone, e sui posti di lavoro.
Da questo punto di vista il voto appare abbastanza ininfluente per la necessaria svolta in direzione del multiplolarismo, perché non vi è alcuna parte politica che sostenga una tale svolta prima che essa sia sdoganata nei piani alti del potere reale. Sarà questa una decisione presa a livello delle élites occidentali, o prima che possano manifestarsi i danni peggiori o, più verosimilmente, sulle macerie che produrrà la decisione di rendere il grande Vicino, indispensabile al nostro benessere, dal quale non proviene a noi alcuna seria minaccia se non lo si va a provocare ai suoi confini, un nemico da combattere non per il bene comune ma nell’esclusivo interesse di una manciata di miliardari che controllano i media e i gruppi dirigenti dei partiti attuali.
Se non cambiano le politiche, verrà il momento in cui si dovrà in qualche modo fare i conti con questa contraddizione.
Il rammarico, per i cattolici soprattutto, se permane il presente immobilismo, potrebbe essere quello di non aver ascoltato abbastanza la voce del Papa, di non aver saputo mettere in pista l’alternativa concreta alla guerra, ovvero il riconoscimento del multipolarismo come un dato di fatto ormai irreversibile.