Noi di qua e lui di là: Berlusconi è morto, occorre prenderne atto.

Chilone di Sparta raccomandava di non dire nulla dei morti, se non bene. Intanto c’è odore di livore, qualcosa che macchia l’anima di chi lo possiede e ne rende livida la fisionomia.

“De mortuis nihil nisi bonum”. Chilone di Sparta, uno dei setti savi e sapienti dell’antica Grecia, raccomandava di non dire nulla dei morti, se non bene. Anche nella educazione del secolo scorso si raccomandava in famiglia di non parlare mai male dei morti. Tutt’al più, se proprio non venisse di dire qualcosa di buono, si potrebbe semplicemente tacere. Oggi, venendo meno il senso della morte, sembra che questa regola di buona educazione sia caduta nel dimenticatoio. Per chi è di fede cristiana, il senso della trascendenza dovrebbe far comprendere l’inutilità di ogni commento che consegni al presente quello che ormai non è più.

 

Per i laici sprovvisti di questa dimensione potrebbe valere la rinuncia ad ogni riflessione che trattando di morte non ha più il carattere di una impellente attualità da sbandierare ad ogni costo per far sentire la propria voce. Berlusconi è morto, non appartiene più a questo mondo ed ogni parola al riguardo è priva di senso. Lui che è stato il genio del populismo ne patisce ora gli aspetti di esso deleteri. Una semplice lettera, una “esse” aiuta i denigratori dell’uomo politico Berlusconi così, anteponendola al suo nome, lo sberleffano e gli danno sberle.

 

La “esse” è anche quella della stridulazione dei serpenti o se preferite del suo sibilo quando vuole avvertire della sua presenza. Il sibilo è quello anche di frecce e proiettili, è simile ad un fischio proprio di quando si vuole insultare o contestare un avversario, anzi un nemico che è l’opposto dell’amico, cioè di quando corre un rapporto fraterno con l’altro, la philia greca per dirla in modo chiaro.

 

Amore ed amare hanno alla base la identica radice ma non si può pretendere che si abbia con tutti. Verso i morti, dalla inimicizia in vita, basterebbe tacere e tenere per se stessi le riflessioni pure dettate dal cuore desideroso di sfoghi. Si ha la sensazione che le sollecite parole di chi lo ha avversato ed anche odiato abbiano ancor più oggi il fine di voler contestare la rassegnazione dell’evento, il sintomo di uno smarrito da non saper fronteggiare. Senza Berlusconi non si può più essere sulla breccia, si cade con lui nelle tenebre dell’aldilà. Mai più ci sarà un nemico che, di sponda, mi darà tanto ascolto. Occorre perpetuarlo e tenerlo in vita almeno nelle parole e nei giudizi. Ma è operazione che ha il fiato corto.

 

“Chi è Hernry Kellerman e perché parla male di me” è un film da non trascurare. Ciascuno di noi ha un Henry Kellerman poco generoso nei giudizi. Da qui alla mancanza di pietà c’è un baratro del quale essere avvertiti. Il nostro è un Paese di antichi contrasti e divisioni. Si discute e ci si contrappone su tutto. Si è faziosi persino su Fazio in Tv, come primo argomento. Figuriamoci sul Cavaliere! Il travaglio è segno di sofferenza, serve alle donne per dare la vita, serve ad altri per aggiungere morte alla morte. Nel latino medioevale il trepalium era uno strumento di tortura da infliggere ai meritevoli di castigo. Il travaglio è anche l’uomo angosciato di pensieri che non sa bene come destreggiarsi.

 

In queste ore, oltre al travaglio sulla posizione da scegliere c’è odore di livore, qualcosa che macchia l’anima di chi lo possiede e ne rende livida la fisionomia. “Fu il sangue mio d’invidia sì riarso / Che se veduto avesse uom farsi lieto /Visto m’avresti di livore sparso”, direbbe Dante. C’è odore di irriducibile acrimonia, di acidità tale da, se possibile, levare di mezzo anche l’acro di terra dove Berlusconi idealmente sarà sepolto.

 

Berlusconi è morto. Occorre prenderne atto. Amici e nemici si rassegnino.