Noi non ci saremo. I Nomadi tra universi sognati e speranze ritrovate.

La sociologia del brano è un appello al pensiero critico ed attivo, ci fa riflettere sull’orrore della guerra, del conflitto, dell’abbandono, del disagio sociale, della cattiveria e delle disuguaglianze quotidiane.

Vedremo soltanto una sfera di fuoco / Più grande del sole, più vasta del mondo / Nemmeno un grido risuonerà / E solo il silenzio come un sudario si stenderà / Fra il cielo e la terra, per mille secoli almeno / Ma noi non ci saremo”. Inizia così uno dei successi più graffianti di ogni tempo – “Noi non ci saremo” – della beat rock band de I Nomandi. Era il 1966 e Francesco Guccini da compositore regala una perla, una preghiera, un manifesto di impegno. 

I Nomadi con il loro beat rock hanno contribuito allo sviluppo del pensiero critico di generazioni e tracciato nuovi percorsi sonori nelle varie collaborazioni anche nel post Daolio. L’armonia eclettica e la voce carismatica di Augusto Daolio ci ha riportato in mondi lontani, universi sognati, ecosfere sociali e forse, perché no, anche speranze ritrovate. 

“Noi non ci saremo”, dal mio punto di vista, è una canzone che parla del pianeta, dell’andare in giro, della mancanza di qualcuno che si è lasciato a casa, la casa comune, la comunità. “Poi per un anno la pioggia cadrà giù dal cielo / E i fiumi correranno la terra di nuovo / Verso gli oceani scorreranno / E ancora le spiagge risuoneranno delle onde / E in alto nel cielo splenderà l’arcobaleno / Ma noi non ci saremo / Noi non ci saremo”. Le parole “piombali” di questo brano logo-terapeuticamente scavano in noi stessi e nei labirinti del mondo, della natura, dell’anima che ci contiene e ci lega. I Nomadi entrano nei sotterranei inconsci della persona, della società, del sentimento profondo delle città. “E il vento d’estate che viene dal mare / Intonerà un canto fra mille rovine / Fra le macerie delle città”. 

La connessione che Guccini descrive e che la voce di Daolio interpreta nel suono rock beat del gruppo risplende oggi nella modernità rappresentata da Papa Francesco quando ci ricorda che “l’unità è superiore al conflitto” e che siamo pars pro toto, parte di un tutto. “Fra case e palazzi che lento il tempo sgretolerà / Fra macchine e strade risorgerà il mondo nuovo / Ma noi non ci saremo/ Noi non ci saremo”. La sociologia del brano è un appello al pensiero critico ed attivo, ci fa riflettere sull’orrore della guerra, del conflitto, dell’abbandono, del disagio sociale, della cattiveria e delle disuguaglianze quotidiane. E ancora riflette sulla ricerca del “progresso spasmodico” che rende ogni cosa nulla dinanzi al ciclo inevitabile dell’essere. Desideri, auspici, pensieri, ricordi ma anche futuro e impegno. Un’elaborazione del pensiero sociale che una performance testuale così densa di tensione emotiva si abbandona al pianto e alla malinconia per poi “risorgere” nell’energia connessa al riscatto di ogni persona nel solco della solidarietà con uno sguardo al divino, in una sorta di teologia del nostro essere. 

E dai boschi e dal mare ritorna la vita / E ancora la terra sarà popolata / Fra notti e giorni il sole farà le mille stagioni/E ancora il mondo percorrerà / Gli spazi di sempre per mille secoli almeno / Ma noi non ci saremo / Noi non ci saremo / Noi non ci saremo”. La strada che ci hanno suggerito i Nomadi è già tracciata e sta a noi – persone – intraprenderla nella ricerca permanente di scoprire l’umanità, o meglio l’umano, ogni giorno.