Toni Negri, l’intellettuale radicalmente politico che faceva guerra alla realtà

Pur essendo incontestabile il valore dei suoi studi scientifici, Negri ha avuto idee, come tutte le idee, oggetto di critica e di censura e che non devono ritenersi immacolate.

Quella di Toni Negri è stata una vita movimentata. Solo a scorrere le iniziative di cui si è reso protagonista emerge l’urgenza che evidentemente lo ha animato nel muovere le acque, l’opposto di “quieta non movere e mota quietare” di insegnamento latino. 

Sembra quasi che, ovunque fosse, avesse poi l’esigenza di rompere il giocattolo per inventarne subito un altro. Forse tutto questo sapendo leggere più di altri i limiti della realtà in cui si era riconosciuto o perché animato da un protagonismo non indifferente o per la incapacità di accettare i limiti di ogni esperienza umana e la fatica di condividere la mediazione delle scelte con gli altri compagni di avventura.

Da principio è stato nel Partito Socialista. Quindi chiama un distinguo dando vita al Movimento Socialista Indipendente. Fonda il mensile “Quaderni Rossi” e aderisce alla rivista “Classe operaia”. Ancora inquieto fonda la Marsilio Editore. A seguire aderisce a Potere Operaio e diventa fondatore di “Controinformazione” e di “Autonomia Operaia”. Occorre ovviamente ricordare la qualità dei suoi incarichi di docenza universitaria e dei suoi studi filosofici.

La stagione degli anni di piombo scatenò un ampio dibattito in merito al ruolo di fiancheggiamento dei movimenti extraparlamentari a sostegno della violenza terroristica. Si polemizzava sulle mancate esplicite condanne e sui silenzi e i distinguo che contribuivano ad una difficoltà di messa a fuoco delle identità di quei movimenti che mancavano un ripudio netto del sangue sparso dai terroristi dell’epoca.

Negri, coinvolto nel processo “7 aprile”, conosce oltre 4 anni di carcere preventivo, accusato di complicità politica e morale con le Brigate Rosse. Al termine del processo è condannato a 12 anni di carcere a cui si dovranno aggiungere quelli per associazione sovversiva e concorso morale nella rapina di Argelato.

Nel 1983 è eletto al Parlamento nel Partito Radicale ma dopo pochi mesi scappa in Francia. Dopo un patteggiamento con la giustizia tornerà in Italia per scontare altri 2 anni di carcere a cui seguirà un regime di semilibertà e nel 2003 la libertà definitiva. Se ben si è letto, questa in sintesi la storia.

Lo hanno chiamato “cattivo maestro”. Cattivo viene dal latino “captivus” cioè prigioniero. Si ha l’impressione che Negri, soprattutto in quel contesto storico, sia stato, come molti, prigioniero di se stesso e della sua ideologia e che con il suo credo abbia influenzato parte di una gioventù che guardava ad un mondo migliore e più giusto del quale si ha sempre in ogni tempo bisogno.

Secondo Capanna predicava l’insubordinazione di massa contro le malefatte del capitalismo. Ebbe cadute “violentiste” ma non fu un terrorista. Deaglio dice che sulla violenza di classe Negri ne era assolutamente a favore ma sosteneva che fosse un logico portato dello sfruttamento del capitalismo. Era insomma una cosa spontanea e non organizzata. Aggiungeremmo, una inevitabile reazione alle provocazioni dei regimi di allora. In parole povere la violenza di una parte come fatale naturale conseguenza della violenza di un’altra parte. 

Il limite di un pensiero di tal genere è stato nell’immaginarne la condivisione delle “masse” operaie o popolari qualsivoglia. La storia dice che non ci fu alcuna rivoluzione. 

Quella interpretazione della realtà fu del tutto marginale nel paese. Il sistema istituzionale politico dei partiti di massa, compresi quelli d’opposizione, rimase al suo posto e sul campo rimase solo il sangue sparso da terroristi sempre più isolati nel loro delirio di cambiamento di una società che non voleva seguirli.

Il Ministro Sangiuliano ha dichiarato che “una cosa è l’espressione delle idee, un’altra è la pratica materiale della violenza”. Insomma, par di capire, si può giudicare l’uomo ma non il suo pensiero.

Caravaggio fu certamente un genio pittorico malgrado una vita dissoluta dove non mancò neanche l’assassinio. 

Da sempre si dibatte in merito al valore più o meno necessario della coerenza tra l’azione e la qualità dell’uomo e l’opera dell’artista.

Se non nelle arti, almeno in politica, la coerenza, per ciò che comporta di suggestioni ed eccitazioni, non è proprio un dettaglio trascurabile. Si ha l’onere di essere esempi permanenti del proprio pensiero.

La coerenza è un avere idee strettamente unite, attaccate logicamente tra di esse e non in modo contradditorio, a sua volta tradotte in omogenei comportamenti quotidiani. 

La fuga in Francia rappresentò un momento di caduta della vita di Negri, tanto più dopo essere stato eletto come rappresentante del popolo in Parlamento. 

Avrebbe potuto comunque riparare in Francia evitando al Partito Radicale una gran brutta figura. Quanto ai suoi compagni di lotta non valse, almeno in una fase, il motto latino “simul stabunt simul cadent”. 

Tirare il sasso e nascondere la mano senza preveggentemente preoccuparsi se poi l’ispirazione di quel sasso, raccolto da eventuali prossimi terroristi, sia diventato valanga di morte non è responsabilità da poco.

Guttuso dice che un uomo non si giudica per le idee che ha ma per come le ha servite. Falcone di rimando ammonì che gli uomini passano, le idee restano.

Pur essendo incontestabile il valore dei suoi studi scientifici, Negri ha avuto idee, come tutte le idee, oggetto di critica e di censura e che non devono ritenersi immacolate. Quanto all’uomo avrebbe potuto essere utile il richiamo alla regola per la quale “l’uomo fa il ruolo ed il ruolo fa la persona”. In questo senso qualcosa per certo è mancato.