Papa Francesco ha avvertito che i sovranismi “finiscono sempre male” e ha citato la tragedia hitleriana. Veltroni ha parlato di “pericolo Weimar”. Gerardo Bianco è andato dritto: per lui Salvini non è Mussolini, “è peggio”. Dice Cacciari che “il rischio è un’Italia fascista”.
Insomma, gira gira si torna sempre lì: all’ascesa – ancora resistibile speriamo – dell’”uomo forte” che reclama i “pieni poteri” e può mettere in pericolo una democrazia dalle istituzioni indebolite in anni di governi del BungaBunga e di incertezze di un centrosinistra che ha vinto soltanto con il cattolico Prodi, poi regolarmente accoltellato.
La crisi attuale è grave perché non è tra quelle conosciute e risolte dal dopoguerra in poi. Questa è una crisi giolittiana e siccome la storia non è maestra di vita c’è da temere che liti, divisioni, egoismi e furbizie di quanti sono chiamati a difendere la nostra Costituzione spalanchino la porta a chi ha in mente qualcosa d’altro.
In momenti come questi il pericolo non è Salvini, il “Truce” come lo chiama chi ha deciso di renderlo simpatico alla gente. I pericoli vengono piuttosto da tutti noi. Dall’accettazione, convinta o no fa poca differenza, di milioni di italiani che vogliono finalmente dare un taglio a una commedia senza senso interpretata da attori scadenti. Per farlo scelgono chi fa la voce grossa e non ha paura degli altri, chi fa la faccia feroce davanti ai nemici e sorride alle vecchie zie.
Se nei commenti sui fatti del giorno ci sembra legittimo andare con la memoria al fascismo e a Weimar, allora è necessario chiederci se per caso Mussolini e poi Hitler siano arrivati a tanto solo per le loro doti e il loro carisma o non piuttosto perché quei popoli avevano investito su quei due. Se per caso non siano stati milioni di italiani e di tedeschi impoveriti, frustrati, bisognosi di un ordine purchessia a determinare la svolta totalitaria. Se per caso non sia stata la loro voglia di farla finita con “quelli di prima” a offrire i pieni poteri a quei due.
Tutto è già stato descritto nell’”autobiografia della nazione”, faremmo bene a sorvegliare noi stessi e quanti ci sono –perlomeno ci sembrano – vicini. Perché è da qui che parte l’infezione che poi divampa come epidemia.
Al mio invito a ripensare allo spirito del CLN, Gerardo Bianco ha risposto che lui preferisce quello alla battaglia vittoriosa del 18 aprile 1948. Chi può mettere in dubbio la grandezza di quell’evento oggi, quando anche gli eredi della sconfitta d’allora ne parlano con rispetto e ammirazione? Il punto però, caro Gerardo, sta proprio qui: il 18 aprile c’era un partito, la Democrazia Cristiana, e un leader, De Gasperi. Oggi il maggior partito d’opposizione è diviso in due. Quelli che, con Renzi, dopo aver sparato a palle incatenate contro i 5 Stelle ora vogliono affiancarli nel maquis contro Salvini. Gli altri, fino a ieri sospettati di intessere accordi con gli stessi 5Stelle, ma adesso fermamente avversi a ogni intesa che sposti in là le urne. Il tutto condito dei consueti retroscena. Questi descrivono i primi contrari al voto in autunno per non disperdere con esso la propria forza parlamentare e gli altri, con Zingaretti, i quali, invece, con una fretta dannata per rovesciare quell’equilibrio. Come si vede tutta roba di prima qualità. Dimenticavo, De Gasperi poi chi ce lo da?
Infine, caro Gerardo, per me vanno bene il CLN, il 18 aprile, la Costituente, le sfilate. Tutto quello che possa ritardare l’avanzata salviniana per poi fermarla. A me non vanno bene l’Aventino e le divisioni tra chi ha, o dovrebbe avere, un solo avversario che forse è un nemico. E certo non penso ad ammucchiate incomprensibili. Penso…à la guerre comme à la guerre.
Scusa se è poco.