Uno fra gli effetti del ritiro del presidente Biden dalla competizione per il secondo mandato, è stato quello di rendere ancora più vivo il dibattito sul grado di impegno degli Stati Uniti nella sicurezza europea e sulla qualità delle future relazioni commerciali transatlantiche. Questo a scapito di una riflessione sul modo in cui prepararsi a pensarsi e a stare, come Occidente, come Unione Europea e come Paese, in un mondo divenuto ormai multilaterale. A ben vedere i timori suscitati da una eventuale vittoria di Trump, da un lato, e le aspettative riposte in un possibile successo alle presidenziali del prossimo 5 novembre, della candidata o candidato del Partito Democratico, dall’altro, presuppongono il riconoscimento di una medesima implicita delega agli Stati Uniti a risolvere, seppur in modi divergenti, problemi che invece presuppongono il concorso di tutte le democrazie occidentali nel decidere quale strategia adottare. Se quella dell’arroccamento nel rivendicare, ad ogni costo, una egemonia che ormai non è più nelle cose, oppure se offrire un contributo comune nel definire, insieme ai molteplici soggetti del Sud e dell’Est globali, un nuovo modello di governance per il mondo attuale, a partire dalla capacità di sfruttare per un tale obiettivo l’occasione del Vertice del Futuro dell’Onu in programma per il prossimo settembre.
Un contributo importante nel far prevalere le ragioni del dialogo su quelle dello scontro, lo sta dando il nostro Paese, anche attraverso l’esercizio della presidenza di turno del G7. Dopo il Vertice in Puglia, caratterizzato dal sostegno a un multilateralismo basato sulle regole e sui principi della Carta delle Nazioni Unite e dall’apertura all’Africa e ai Paesi emergenti, l’importante visita del presidente Sergio Mattarella in Brasile della settimana scorsa ha costituito non solo una autentica occasione di dialogo fra due Paesi con forti legami (in Brasile vive la comunità di discendenti di immigrati italiani più numerosa al mondo) ma anche di scambio di vedute fra il Paese che detiene la presidenza del G7 con quello che detiene la presidenza del G20, e che si appresta dal prossimo gennaio ad assumere quella dei Brics.
In particolare, ritengo vada attentamente meditato l’intervento che il presidente della Repubblica Mattarella ha tenuto a Rio de Janeiro lo scorso 18 luglio al Centro Brasiliano per le Relazioni Internazionali (CEBRI) nel quale si è pronunciato per un rilancio del multilateralismo, anche attraverso le opportune riforme delle istituzioni internazionali, a partire dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che dia la giusta rappresentanza ai Paesi emergenti perché, ha sottolineato il Presidente, “questo è un tempo che richiede dialogo e confronto”.
Un tempo in cui ognuno dei centri di potere che compongono il nuovo quadro multilaterale globale, deve imparare a coesistere e a interagire con gli altri, con pari dignità e non solo in una logica di reciproco vantaggio, ma anche sentendosi parte di un comune impegno nel governare i problemi globali. Per l’Unione Europea, indipendentemente da chi sarà il prossimo o la prossima presidente degli Stati Uniti, questo significa saper affrontare in piena responsabilità e autonomia i problemi dello sviluppo economico e sociale, della tutela dell’ambiente, della sicurezza e della deterrenza. Si tratta, superando una volta per tutte i nazionalismi che hanno rovinato l’Europa nel Novecento, di iniziare a pensarsi come uno dei protagonisti del nuovo ordine globale multilaterale.
Gli altri già ragionano così e forse dobbiamo recuperare il tempo perduto. Persino un leader controverso come il presidente turco Erdoğan in una recente intervista al Magazine americano Newsweek ha espresso la convinzione che “oggi non esistono quasi stati al mondo, compresi gli stati in guerra, che non abbiano rapporti tra loro. Costruire e sviluppare relazioni è una necessità per gli Stati”. Il multi-allineamento è praticato da numerosi stati a conferma del fatto che il mondo attuale è così interconnesso al punto che non potrebbe sopportare una rigida divisione per blocchi. Anche questo, per l’Italia e per l’Ue, costituisce una sfida: quella di saper coniugare la fedeltà alle proprie alleanze con la necessità di intensificare forme di cooperazione nel mondo.