Non è più tempo di demagogia e assistenzialismo

I partiti, come pure le forze sociali, sono obbligati a compiere scelte impegnative. Spetta al governo “dettare la linea”, con proposte che smontino le vecchie logiche di protezione corporativa, segnate fatalmente dall’inefficenza. Le riforme devono mirare a rendere l’Italia più moderna, perché solo un vero cambio di passo può garantire la ripresa, con un sano sviluppo dell’economia e la crescita effettiva dell’occupazione.

 

Raffaele Bonanni

 

C’è grande fermento per rivedere norme e garanzie per il sistema degli ammortizzatori sociali e riguardo le politiche attive del lavoro, con grandi attese dei lavoratori e annunci della politica. La questione è davvero di enorme importanza, data la situazione a dir poco malferma della stabilità della occupazione, resa ancor più problematica dalla pandemia, e di un mercato del lavoro che presenta vistose contraddizioni a causa della scarsità endemica di qualifiche professionali più calzanti con le esigenze d’impresa protese verso esigenze di produzioni nuove e competitive.

 

Comunque, temi di tale portata non è conveniente per gli interessi dei lavoratori, delle imprese e del Paese, affrontarli in fretta e furia in contraddizione tra loro e scollegati con gli obiettivi generali che riguardano la crescita del Paese, con un welfare inclusivo ed efficiente. Infatti le direttrici delle riforme dovranno essere compatibili con le esigenze di crescita delle professionalità ed in linea con la rivoluzione digitale che ha investito ogni ambito produttivo: dal terziario avanzato, all’agricoltura, dalle industrie 4.0, al settore delle costruzioni, dai settori della energia alla ristorazione o ai servizi alla persona.

 

D’altronde buona parte degli investimenti che si faranno con i denari prestati e a fondo perduto assicurati a noi dall’Unione Europea, potranno avere un effetto moltiplicatore alla sola condizione del varo di riforme profonde che risolvano davvero i nodi aggrovigliati da tempo della giustizia, del fisco, della P.A. e del lavoro. Su questi argomenti l’insistenza delle autorità europee è continua ed occorrerà recuperare il tempo perduto. Dovrà avvenire per gli ammortizzatori sociali da impostare in senso universalistico per ogni lavoratore, attraverso un sistema proprio di finanziamento che ne garantisca autonomia ed efficacia al riparo da ogni tentazione di assistenzialismo.

 

Se il governo intendesse svolgere un ruolo all’altezza delle esigenze odierne, dovrà invitare le parti sociali a cucire un loro abito su misura per gli ammortizzatori, che per naturale loro responsabilità non potrà che essere lontano da tentazioni assistenzialistiche, legando indissolubilmente i periodi di necessaria interruzione del lavoro per gli svariati motivi da prevedere, all’utilizzo intensivo dei tempi di non lavoro all’obbligo di partecipazione a corsi da frequentare per la rielaborazione della propria professionalità, con la perdita della indennità CIG nel caso di mancata partecipazione. Il sistema dei fondi interprofessionali governati dalle parti sociali, potranno ben assicurare i corsi necessari.

 

Questi istituzioni sussidiarie, in buona parte efficienti,  potranno senz’altro essere utili allo scopo di ottenere un cambiamento di non poco conto rispetto alle attuali scoraggianti esperienze. Il governo dovrà naturalmente avere ruolo per la definizione della riforma, e a valle delle decisioni delle parti sociali potrà far valere la propria responsabilità intervenendo con vantaggi fiscali soprattutto a favore delle piccole imprese sugli oneri di contribuzione che li coinvolgerà. Dunque legare gli ammortizzatori allo strumento più importante delle politiche attive del lavoro, la formazione, procurerà una vera benefica rivoluzione nel mondo del lavoro con cambiamenti non di poco conto sulle distinte responsabilità delle parti sociali e del governo, oltre alla fine inesorabile delle vecchie abitudini dell’uso scriteriato, puramente assistenziale, degli ammortizzatori.

 

L’altro punto non potrà che riguardare  gli strumenti che rendono gestibile l’incontro veloce e produttivo tra la domanda e l’offerta di lavoro. Tanti sono stati i capitali statali che si sono buttati al vento in nome del  “collocamento”. Pubblico. Si è voluto con dispendio di risorse considerevoli gonfiare a tutti i costi i cosiddetti uffici dell’impiego, costituiti improbabili task force come i “navigatori”, che presto si sono rivelati del tutto incapaci di facilitare assunzioni, se non l’assunzione copiosa di coloro che sono stati assunti per questo compito. Questo prezioso lavoro lo potrà svolgere produttivamente solo chi conosce giornalmente le realtà d’impresa, cioè le agenzie private che dietro compenso delle imprese hanno tutto l’interesse a ridurre i tempi di incontro tra chi cerca nel mercato del lavoro professionalità occorrenti e chi cerca una impresa che lo può impiegare.

 

Penso dunque che queste riforme si faranno bene solo se si vorrà metterci al riparo da chi nel governo, come sembra,  vuole distribuire senza senso soldi dei contribuenti per farsi bello con gli elettori, e chi nel sociale bussa alla casse governative per l’assistenzialismo. Alcune esperienze del passato di casse integrazioni senza fine, ed ultimamente il caso eclatante dei redditi di cittadinanza elargiti senza alcun criterio riconducibile al buon senso, ci obbligano al cambiamento vero senza perdita di tempo.