“Si decide “di scendere in piazza” – osserva l’autore – contro una manovra economica e sociale prima ancora di conoscerla, di valutarla e di discuterla nelle sedi opportune […] siamo tornati alla concreta e tangibile esperienza del Pci […] C’è un solo rammarico in tutto ciò. E, al contempo, un grande assente: un partito che assomigli, seppur lontanamente, a quella esperienza politica, sociale, culturale, di governo ed istituzionale che va sotto il nome di Democrazia cristiana.
Le dinamiche concrete della prima manovra di bilancio del Governo guidato da Giorgia Meloni hanno riportato indietro, di fatto, le lancette della storia della politica italiana. Almeno questa è la mia opinione che, però, registro essere abbastanza diffusa. Ci sono, in effetti, alcuni tasselli che ti portano indietro, come se assistessimo ad una sorta di gioco dell’oca. Provo a riassumerli, seppur sinteticamente, e che confermano persin platealmente questo assunto.
Innanzitutto, sulla base di una logica e di un approccio volgarmente ideologici, il nemico politico va sempre annientato a prescindere da tutto. E quindi anche dai contenuti concreti di un’azione di governo. E così si decide “di scendere in piazza” contro una manovra economica e sociale prima ancora di conoscerla, di valutarla e di discuterla nelle sedi opportune. E questo perchè – come recitava il vecchio Pci – il nemico rischia sempre di creare un regime autoritario, antidemocratico, illiberale ed eversivo. E che può mettere a rischio la stessa tenuta democratica del paese. Un dèjà vu in perfetto stile.
In secondo luogo, e come da copione, con appena un fischio scende in campo il sindacato di riferimento. La famosa “cinghia di trasmissione” di antica memoria con tanti saluti all’autonomia del sindacato. Il tutto, come ovvio, anche in nome della mai sopita unità antifascista e contro il potenziale “regime illiberale”.
Inoltre, non può mancare all’appello, come ovvio, l’intramontabile ed incontaminata “società civile” con tutto il circo dei soliti e collaudatissimi conduttori televisivi, giornalisti dediti alla “causa”, intellettuali ed opinionisti pronti a sottoscrivere “appelli” e “mozioni” di censura nei confronti del “regime” benedetti dai famosi “santoni” del “politicamente corretto”. Un repertorio talmente noto che è appena sufficiente rileggere gli attacchi cinquantennali alla Democrazia Cristiana e ai suoi principali esponenti – cioè leader e statisti dell’epoca – per rendersene conto senza ulteriori commenti al riguardo.
Infine la riscoperta della “piazza” sempre e comunque. Una strada salvifica e miracolistica per sventare l’irrompere del disegno autoritario che da un momento all’altro può riprecipitare l’intero paese in uno scenario da incubo. E qui, come ovvio e scontato, non può mancare il “pericolo fascista” che resta il vero cemento ideologico unificante di questa impostazione.
Ora, al di là delle legittime opinioni di ciascuna forza politica e delle concrete modalità di condurre la stessa battaglia politica, è indubbio che ci troviamo di fronte ad un “modello” politico che ci riporta francamente indietro nella storia politica italiana. E questo al di là dello stesso profilo e del progetto politico del centro destra di governo e della grande novità di avere per la prima volta nella storia del nostro paese una donna Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ecco perché, e senza neanche un grande sforzo di novità e di originalità, siamo tornati alla concreta e tangibile esperienza del Pci. Seppur, come ovvio e scontato, al netto dei cambiamenti politici, culturali, sociali, economici ed etici intervenuti nelle dinamiche concrete e nel tessuto vivo della società italiana in questi ultimi decenni. Ma la modalità politica concreta non cambia e, come un fiume carsico, riemerge in tutta la sua virulenza seguendo un copione persin troppo simile per essere messo in discussione.
C’è un solo rammarico in tutto ciò. E, al contempo, un grande assente: un partito che assomigli, seppur lontanamente, a quella esperienza politica, sociale, culturale, di governo ed istituzionale che va sotto il nome di Democrazia cristiana. Ma tutto ciò non stupisce granchè per un solo motivo: la sinistra ex o post comunista non cambia molto, come quasi tutti sanno, non ha mai fatto i conti veri ed autentici con il suo passato politico ed idelogico. Per cui, periodicamente, il passato ritorna e ripropone i vecchi vizi e le antiche liturgie. Come, puntualmente, sta emergendo in questa strana e singolare fase politica italiana.