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sabato, 20 Settembre, 2025
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Nuove armi ad Israele? L’America di Trump non lavora per la pace

Una vendita da sei miliardi di dollari mira a confermare, rafforzandola, l’alleanza militare con Tel Aviv. Ma senza condizioni e senza aperture politiche, la pace resta un’illusione sempre più lontana.

L’amministrazione Trump ha chiesto al Congresso l’autorizzazione a una vendita di armamenti a Israele per quasi sei miliardi di dollari, secondo il Wall Street Journal. Il pacchetto comprende 30 elicotteri AH-64 Apache, dal valore di 3,8 miliardi, che raddoppierebbero la flotta israeliana, e 3.250 veicoli d’assalto della fanteria per altri 1,9 miliardi. Le consegne non avverrebbero prima di due o tre anni, ma il segnale politico è chiaro: Washington non intende porre condizioni al riarmo di Tel Aviv.

Politica di pace?

Una strategia che, invece di arginare la spinta militarista di Israele, la accompagna e la sostiene con forniture senza limiti, non si può chiamare “politica di pace”. Un processo autentico di pacificazione dovrebbe fondarsi su due capisaldi: la sicurezza di Israele e la creazione di uno Stato palestinese. Puntare esclusivamente sul rafforzamento militare significa sbilanciare l’equazione, condannando la prospettiva di negoziato a restare lettera morta.

Le voci critiche in America

Non mancano, del resto, le voci contrarie negli Stati Uniti. Il senatore Bernie Sanders ha denunciato il rischio di “genocidio” a Gaza, presentando più volte mozioni per bloccare la vendita di armi. Con lui si sono schierati senatori come Elizabeth Warren, Chris Van Hollen, Raphael Warnock, Jeff Merkley. Tutte iniziative respinte, ma rivelatrici di una crescente insofferenza nel campo democratico.

L’interrogativo più stringente

Se approvata, questa operazione confermerebbe una linea che riduce la questione mediorientale a una sola variabile: la potenza militare di Israele. Ma la domanda resta stringente: può davvero esserci pace se l’America di Trump continua a confondere sicurezza con superiorità bellica?

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