Giuseppe Aloise
Lo scontro militare tra Russia ed Ucraina ha messo in evidenza, da un lato, le mire espansive di Putin e, dall’altro, la ferma resistenza del popolo ucraino che, nonostante le distruzioni e i lutti subiti, mostra un’irriducibile volontà di difendere la propria autonomia ed indipendenza. Putin non ha esitato in questi ultimi anni a recuperare la tradizione imperiale russa che ha sempre ritenuto l’Ucraina una sorta di piccola Russia. Di qui il processo di russificazione e di cancellazione dell’identità del popolo ucraino. A questo tentativo, rafforzato dall’invasione militare, l’Ucraina ha risposto riscoprendo il proprio patrimonio culturale e religioso. La resistenza è anche resistenza culturale.
Non sfugge a nessuno che il popolo ucraino si è riappropriato, prima di tutto, della propria lingua (“una d’arme, di lingua, d’altare” per non essere “un volgodisperso” direbbe il Manzoni ). Pietro I il Grande, cui spesso si ispira il novello Zar Putin, nel 1720 proibì la stampa di libri in ucraino. Addirittura, Alessandro III, altro modello per Putin, nel 1888 vietò l’uso della lingua ucraina nelle amministrazioni pubbliche ed impedì il battesimo di bambini con nomi ucraini. I sermoni in Chiesa in ucraino erano stati già vietati. Nicola II nel 1914 mise al bando Taras Shevchenko che, come vedremo, è considerato il padre della Lingua ucraina. Il clima peggiorò durante il periodo sovietico quando molti intellettuali ucraini furono uccisi. Le chiese e i monumenti di Kiev, le vicende stratificate nel tempo raccontano una storia diversa da quella diffusa dal potere “coloniale” russo. Nel tentativo di giustificare l’uso della forza, Putin suscita richiami e riferimenti che senza volerlo rafforzano la resistenza e l’identità ucraina. Infatti, qualche giorno fa, concludendo il suo discorso alla Nazione Putin si è riferito a Stolypin, Primo Ministro dello Zar Nicola II, per rivendicare il diritto della Russia ad essere forte.
Questo riferimento a Stolypin richiama alla memoria, proprio per gli intrecci controversi tra russi ed ucraini, un tragico avvenimento che si registrò a Kiev in occasione dell’inaugurazione del Monumento allo Zar Alessandro II, realizzato a seguito di un concorso internazionale vinto dallo scultore palermitano Ettore Ximenes (autore di numerosissime opere fra le quali la “Quadriga” sopra il Palazzaccio a Roma e il Monumento in bronzo a Dante a Washington). Il 14 Settembre 1911 Stolypin subì un grave attentato a colpi di pistola, che gli procurò la morte 4 giorni dopo, mentre assisteva all’opera lirica “La favola dello zar Saltan” assieme a Nicola II e allo scultore Ximenes.L’attentato avvenne all’interno del Teatro dell’opera di Kiev, dedicato a Taras Shevcenko, poeta e letterato dell’800, padre della lingua e letteratura ucraina, simbolo dell’identità di quel popolo. Durante il Comunismo l’opera di Shevcenko fu “purgata” di ogni contenuto nazionalistico per poterla presentare come un pilastro dell’internazionalismo sovietico. Ma, con il recupero dell’autonomia e dell’indipendenza da parte dell’Ucraina, il grande autore patriottico venne riposizionato nella sua giusta dimensione.Negli anni ‘90 quasi tutte le statue di Lenin furono abbattute in Ucraina e gran parte di esse furono sostituite con le statue di Taras Shevcenko, ormai divenuto il simbolo dell’identità culturale ucraina.
Prima dell’avvio del conflitto russo-ucraino, Putin aveva pubblicato un articolo storico-letterario dal titolo “Sull’unità storica di russi ed ucraini” nel quale sosteneva che autori russi come Gogol e ucraini come Taras Shevchenko “facciano parte di una comune eredità storica e culturale”.Sotto questo profilo, come osserva un acuto diplomatico ed editorialista, Fernando Gentilini, Gogol aveva “una identità plurima – un cuore ucraino, un’anima russa ed una mentalità eclettica e cosmopolita”. Ma è lo stesso Gogol che ci ricorda che “molto nella storia viene deciso dalla geografia”. Quando mancano i confini naturali, e il territorio è per metà steppa e per metà foresta, le invasioni che si registrano nel corso dei secoli tendono a mescolarsi sicché, come è avvenuto in Ucraina, il risultato è un “miscuglio di tartari, polacchi, russi, lituani disseminato tra i popoli slavi preesistenti”.
Gogol si sentiva scisso. La Piccola Russia, ovvero l’Ucraina, rimase sempre nel suo cuore anche quando si era trasferito a Pietroburgo. Per effetto di questa “scissione” sia in Russia che in Ucraina Gogol, nonostante la guerra, viene considerato di casa. Putin, invece, commette un grande errore di valutazione quando assimila Gogol a Shevchenko. Se avesse valutato bene cosa simboleggia nell’immaginario collettivo il padre della letteratura ucraina, non avrebbe avviato la cosiddetta operazione di de-nazificazione. Shevchenko è il simbolo della resistenza e della difesa dell’identità ucraina. “Bisogna opporsi all’invasore senza paura della morte!” Una statua di Shevchenko che, fra l’altro era anche pittore, venne donata nel 2021 dalla città di Kiev alla città di Firenze, in ricordo del loro gemellaggio e si trova nel giardino della Biblioteca delle Oblate. La statua in bronzo raffigura il pittore mentre dipinge su alcuni fogli. Sulla base in marmo della statua viene riportata una frase: “Lottate e vincerete”. Un incitamento a lottare per liberarsi dal giogo imperialistico sovietico e rivendicare indipendenza culturale e politica.
Ma quel che è più grave è che Putin si è dimenticato della definizione che di Shevchenko avevano dato i nazionalisti russi: “Porco malorusso buono solo per il lardo” (l’impero zarista identificava con il termine Malorossija i territori dell’odierna Ucraina centrale). Sui testi di geografia (quando la Geografia era materia abbastanza significativa), Ucraina, Bielorussia e Moldavia venivano raggruppati in un solo capitolo dal titolo: Le grandi pianure orientali. Le controversie attuali trovano la loro giustificazione anche nelle condizioni geografiche dei luoghi secondo l’intuizione di Gogol! Non c’è dubbio che Putin, per plasmare la nuova identità della Russia e giustificare il neo-imperialismo zarista, sia costretto a reinterpretare la Storia. In un recentissimo discorso solenne alla nazione non ha esitato ad affermare: “L’Ucraina moderna è stata interamente creata dai bolscevichi, la Russia comunista. Questo processo iniziò praticamente subito dopo la rivoluzione del 1917, e Lenin e i suoi compagni lo fecero in un modo estremamente duro per la Russia: separando, recidendo ciò che è storicamente terra russa”.
Maneggiando con disinvoltura la Storia, però, il nuovo Zar rischia di essere smentito dalle stesse popolazioni recise che si vorrebbe russificare attraverso alcuni simboli.Visitando Kiev nella Piazza Mykhailivska, davanti al Ministero degli Esteri, l’attenzione è attirata da un monumento abbastanza grande del 1911 che si compone di quattro figure. Al centro v’è la figura principale, la Principessa Olga, alla sua destra ci sono i santi Cirillo e Metodio e alla sinistra l’Apostolo Andrea. Vladimir Putin nel 2003, in occasione dei 1100 anni del centro abitato, indirizzò alla città di Pskov un messaggio per sottolineare il coraggio di molti condottieri provenienti da quella città russa ed aggiunse: “È molto simbolico che siano stati proprio i territori di Pskov a dare i natali a Sant’Olga di Russia. Che possano i suoi discendenti preservarne la beata memoria”. L’inaugurazione del monumento avvenne in maniera molto discreta perché in quei giorni il Primo Ministro Stolypin stava morendo in un Ospedale di Kiev a seguito dell’attentato subito.
Attualmente, accanto al monumento sono stati sistemati in bell’evidenza carri armati e blindati russi distrutti durante le operazioni militari. Olga è un personaggio leggendario che è realmente esistito. Nasce alla fine del X secolo a Pskov che si trova in Russia a pochi chilometri dall’Ucraina. Sposa Igor, Gran Principe di Kiev di origine vichinga, ma dopo pochi anni rimane vedova. Si scontra ferocemente con la tribù dei Drevljani fino a distruggerla. Si converte al Cristianesimo ma solo con il nipote Vladimir nel 988 si registra l’intera conversione al cristianesimo della Terra di Rus’. Non è senza significato la presenza dei santi Cirillo e Metodio accanto ad Olga. Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica “Euntes in Mundum” (25 gennaio 1988), in occasione del millennio del “battesimo” della Rus’ di Kiev, testualmente afferma: “Vladimiro, grazie alla sua saggezza e alla sua intuizione, mosso dalla sollecitudine per il bene della Chiesa e del popolo, accettò nella liturgia, in luogo del greco, la lingua paleoslava, «facendone uno strumento efficace per avvicinare le verità divine a quanti parlavano in tale lingua». («Slavorum Apostoli», 12). Come ho scritto nella Epistola Enciclica «Slavorum Apostoli», (cfr. «Slavorum Apostoli», 11-13), i santi Cirillo e Metodio, anche se consapevoli della superiorità culturale e teologica della eredità greco-bizantina che portavano con sè, ebbero tuttavia il coraggio, per il bene dei popoli slavi, di servirsi di un’altra lingua ed anche di un’altra cultura per l’annuncio della fede”.
L’Apostolo Andrea è legato da una forte tradizione millenaria con il popolo ucraino. Sant’Andrea è il patrono dell’Ucraina. Secondo una leggenda raccolta in alcune cronache ucraine medievali, Sant’Andrea piantò una croce sulle colline del fiume Dnipro ove sarebbe sorta, secondo la sua profezia, la grande città di Kiev con molte chiese. E proprio su questo sito, in suo onore, è stata edificata la Chiesa di Sant’Andrea Apostolo su progetto del famoso Architetto Bartolomeo Rastrelli cui si deve, fra i tanti, il Palazzo d’Inverno e il Palazzo di Caterina, residenza estiva degli Zar. Immediatamente dopo la rivoluzione bolscevica la statua della principessa “santa” viene rimossa dal piedistallo e, divisa in due, viene sepolta sotto il monumento. Nel 1923 furono abbattute le restanti parti. Solo negli anni 90, dopo il crollo dell’URSS e con il nuovo stato indipendente, sono stati eseguiti i lavori di restauro sostituendo per la rinnovata composizione scultorea il cemento, materiale di moda agli inizi del Novecento, con il marmo ed il granito dei nostri tempi.
Il tentativo di Putin, dopo la parentesi del comunismo ateo, di “russificare” la testimonianza di Olga e l’intera esperienza della Chiesa Ortodossa si scontra con la forte rivendicazione dell’Ucraina di essere al centro della nascita del cristianesimo nelle terre dell’antica Rus’ di Kiev. Il Monumento ad Olga nella piazza Mykhailivska, né è il simbolo e la sintesi!!