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sabato, 28 Giugno, 2025
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Oltre il partito: ricostruire la comunità cattolico democratica

La tradizione cattolico democratica non è finita: è dispersa, ma ancora capace di orientare la vita pubblica. Segue sintesi dell’ampia riflessione dell’autore: per leggere il testo integrale cliccare sul link a fine pagina.

La cultura cattolico democratica italiana, per decenni protagonista della vita pubblica, oggi appare dispersa, marginalizzata, silenziata. Non è morta, ma ha smarrito la capacità di farsi sentire con una voce sola. Eppure, questa tradizione – radicata nel personalismo, nella solidarietà e nel pluralismo – può ancora offrire risposte all’altezza delle sfide attuali. Ne sono convinti Giuseppe Fioroni e Lucio D’Ubaldo, che con un recente intervento hanno rilanciato il dibattito. E con loro Nino Labate, che invita a non commettere l’errore di pensare che la rinascita passi necessariamente da un nuovo partito.

Dalla frammentazione alla voce comune

Il punto è proprio questo: oggi non si tratta di rifare la Democrazia Cristiana, né di costruire un contenitore centrista per colmare un vuoto. Servono relazioni, pensiero, una rete di intelligenze e di presenze. L’ipotesi, già evocata da Giulio Prosperetti e ispirata a Giorgio Campanini, è quella di una “convention” permanente di tutte le realtà di ispirazione cristiana, un luogo di confronto stabile, non un’operazione elettorale.

Né nostalgia né moderatismo

Il popolarismo – lo ricorda Lorenzo Dellai – non è moderatismo. Non si limita a mediare, ma prende posizione. Non guarda a destra per arginare la Meloni, né si limita a cercare un centro astratto. È piuttosto un metodo, un orientamento, un’apertura alla società concreta. Per esistere politicamente, tuttavia, occorre una forma: e quella forma, oggi, non può più essere il partito tradizionale. Bisogna inventare qualcosa di nuovo, aperto, capace di abitare la democrazia digitale senza rinunciare alla partecipazione reale.

Mattarella insiste spesso su questo punto: non dobbiamo ricostruire il passato, ma costruire il nuovo. È una sfida culturale prima che politica. Per affrontarla, bisogna superare l’individualismo dominante e ricomporre una presenza collettiva capace di generare senso.

Un vuoto che pesa

Oggi manca una voce cattolico democratica visibile e riconoscibile nello spazio pubblico. Le scuole di formazione sono vuote, l’associazionismo in crisi, il voto dei cattolici è secolarizzato. I dati di Franco Garelli e Nando Pagnoncelli parlano chiaro: i “praticanti” votano come tutti gli altri. E il loro comportamento elettorale non si orienta più ai valori, ma all’offerta momentanea. Il risultato è che la politica non intercetta più le attese profonde di quella parte del Paese che continua, pur tra mille contraddizioni, a cercare un senso, una direzione.

Eppure, mai come oggi servirebbe una cultura politica capace di interpretare le trasformazioni epocali: guerre, crisi ambientali, diseguaglianze, rivoluzioni tecnologiche. Una cultura che promuova il bene comune, la pace, l’unità nella diversità. Papa Francesco lo dice con chiarezza: siamo tutti sulla stessa barca. Serve corresponsabilità, non chiusura. Comunità, non frammentazione.

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