Ormai è un giudizio comune. Lo confermano tutti i sondaggisti senza, com’è scontato ed evidente, indicare i tasselli di una alternativa politica e culturale alla schiacciante maggioranza a trazione pentaleghista. E cioè, il Partito democratico e Forza Italia oggi non sono più percepiti come sigle o partiti in grado di costruire una proposta, come si diceva un tempo, capace di delineare da un lato un progetto politico alternativo alle attuali forze di governo e, dall’altro, a costruire una politica in grado di rilanciare entusiasmo e aggregare consensi nuovi e trasversali. Forza Italia e’ stata una straordinaria invenzione del suo fondatore, Silvio Berlusconi. Un prodotto, però, che oggi non è più spendibile per svariati motivi. Del tutto comprensibili e che non vale la pena neanche elencare. Per quanto riguarda il Partito democratico si è chiusa, forse definitivamente, la felice intuizione dei fondatori. Ovvero, un progetto che prevedeva la confluenza nel medesimo soggetto politico delle migliori culture costituzionali del nostro paese. Un partito che doveva garantire si’ la confluenza delle culture riformiste, democratiche e progressiste ma soprattutto doveva confermare, nei fatti, la natura “plurale” del partito nella sua gestione concreta e quotidiana. L’esperienza degli ultimi anni, oltre ad aver rotto i ponti con il tradizionale elettorato di un partito di centro sinistra, ha modificato in modo radicale il profilo originario di quel partito che da soggetto “plurale” si è trasformato in un partito rigorosamente “personale”. Non a caso il Pd e’ ormai noto come “Pdr”, per dirla con la felice definizione di Ilvo Diamanti. Un partito che oltre ad aver perso tutte le consultazioni elettorali politiche ed amministrative dal 2015 in poi, si è isolato progressivamente non riuscendo più ad intercettare le domande che provenivano dalla società.
Soprattutto da parte di quei ceti e di quegli interessi che storicamente si riconoscevano in un partito convenzionalmente di centro sinistra. Esaurita quella funzione, che non è affatto mutata dopo il voto del 4 marzo – confermata, questa volta, da tutti i sondaggisti – si tratta, dunque, di riscoprire e ricostruire nuove esperienze politiche e nuovi soggetti politici. E, con il ritorno delle cosiddette “identità” politiche dopo il voto spartiacque del 4 marzo, si tratta di rimettere in campo partiti e movimenti che interpretano e incarnano quelle identità. A cominciare dalla cultura cattolico democratica, cattolico popolare e cattolico sociale. Non un partito cattolico come ovvio e, men che meno, un partito con un profilo confessionale o peggio ancora con venature clericali. Semmai, un partito laico e riformista, democratico ed europeo che affonda però le sue radici nella storia e nell’esperienza concreta del cattolicesimo politico italiano. Un partito che sia capace nell’attuale contesto politico di rilanciare un progetto che sappia ridare qualità alla nostra democrazia, che ripari le nostre istituzioni da una pericolosa deriva autoritaria, che rideclini un nuovo europeismo, che rilanci un’economia sociale di mercato senza rincorrere avventure liberiste, che difenda i diritti sociali e non solo quelli individuali, che riscopra la cultura delle alleanze senza le illusioni e le arroganze di una ridicola autosufficienza, che infine sappia anche rilanciare il ruolo dei partito-comunità superando la scorciatoia del “partito del capo” che ha contagiato ormai tutti i partiti italiani.
Insomma, un partito costituzionale che non riproponga le solite polemichette del qualunquismo politico contemporaneo ma che sia in grado di recuperare una cultura politica storica per tradurla nella cittadella politica italiana. Con un progetto politico definito, con una classe dirigente autorevole e, soprattutto, con una bussola chiara ed immediatamente percepibile dai cittadini elettori. Ovvero, un partito a tutto tondo e non un ennesimo movimento del “capo” di turno. Verrebbe da dire, citando uno storico ed efficace slogan, “se non ora quando?”.