PACE A PARTIRE DALL’UMANESIMO CRISTOLOGICO DI BERDJAEV.

“La pace – scrive l’autore -ha oggi serie difficoltà per articolarsi in un linguaggio che sia la nervatura di una intelligenza di pace […] Dell’impossibilità della pace dentro al paradigma dell’umanesimo liberale si è reso conto Nietzsche, che sulla scia di Dostoevskij, lavorò instancabilmente per demolire la decadente architettura dell’antropologia occidentale. E sulle spalle di questi due giganti del pensiero decostruttivo Nikolaj Berdjaev tratteggiò le linee della sua antropologia libertaria”.

Diego Flores

Il nostro è un tempo senza pace. Drammaticamente rassegnato e abdicante di fronte alla domanda: “perché la pace”? Il cuore d’Europa dilaniato ancora dal tonante rimbombo delle armi ratifica che l’invenzione e la fabbricazione di “macchine” è stata la vera svolta culturale di tre secoli fa. Europa e l’intero Occidente non ha fatto che riempire il mondo di strumenti, che non sono il mero prolungamento di potenzialità umane ma il loro illimitato quanto febbricitante superamento. Rivoluzione “tecnologica” l’ha chiamata, con pretestuosa superbia e facinoroso delirio di onnipotenza. E la morte inoculò il suo veleno insinuandosi nei tortuosi percorsi di questa razionalità strumentale. Macchine in quantità sufficiente per saturare di dolore e distruzione ogni angolo del pianeta; a corto di parole per articolare il pensiero di pace. Risulta fuorviante il tentativo critico di smascherare ideologicamente il potere egemonico delle armi? Oggi, come ogni espressione di dominio, quello industriale-militare è post-ideologico, pragmatico.

Il potere non maschera più con idee i suoi fini apertamente e brutalmente pragmatici. È un potere capace di produrre macchine, alimentare interessi, negare diritti. Non è un potere in grado di creare idee, costruire pensiero, nutrire una comune aspirazione di giustizia e di pace. A questa perversa logica del dominio soggiace il cinico e brutale pragmatismo del soggetto – di- interessi. Non è uno scandalo che questa antropologia dell’individualismo liberista alimenti – conciliante e trionfale – i più oscuri scenari di sofferenza e devastazione. Abbiamo bisogno di pace. Abbiamo necessità soprattutto di un pensiero di pace. La pace ha oggi serie difficoltà per articolarsi in un linguaggio che sia la nervatura di una intelligenza di pace. Che opportunità per il pensiero della pace? Quali spazi per la domanda di pace in una situazione dove il carattere strumentale della razionalità dominante risiede proprio nell’arte della guerra? Il pensiero di pace sembra avere barrata la strada di fronte al conformista concetto di libertà che domina in Occidente da secoli.

Dell’impossibilità della pace dentro al paradigma dell’umanesimo liberale si è reso conto Nietzsche, che sulla scia di Dostoevskij, lavorò instancabilmente per demolire la decadente architettura dell’antropologia occidentale. E sulle spalle di questi due giganti del pensiero decostruttivo Nikolaj Berdjaev tratteggiò le linee della sua antropologia libertaria. Ne Il senso della creazione, terminato poco prima dell’inizio della prima guerra mondiale, il pensatore russo prende atto che, “dopo Nietzsche, dopo la sua opera e il suo destino, l’umanesimo non è ormai possibile”. Berdjaev vede, attraverso gli occhi di Nietzsche, le possibilità di una nuova antropologia che oltrepassi l’”ultimo uomo”, inventore della felicità a scapito della libertà. Sullo stesso piano di critica implacabile Berdjaev colloca la figura di Dostoevskij. Insieme a Nietzsche, Dostoevskij testimonia per Berdjaev la “fine dell’uomo”. Così diversi e, nello stesso tempo, così vicini, Nietzsche e Dostoevskij abbattono la menzogna degradante dell’umanesimo occidentale. Scavando tra le macerie culturali di uomini che godono del “male puro e semplice”, che non hanno bisogno di giustificare proprio perché privo di senso, Nietzsche intravede la voragine nella quale è stato risucchiato l’Occidente: il “nichilismo del bene”. Nel tempo in cui “l’animalità non suscita più orrore” e la bestia che è nell’uomo si accende infuriando con “spirituale e felice arroganza”, Nietzsche capisce che “è proprio il bene che ha bisogno di una giustificazione”. Cos’è il nichilismo se non la rovinosa decadenza dei valori e dei principi etici? Manca il perché. Perché il bene? Perché la giustizia? Perché la pace? Dall’abisso nichilistico del pensiero di fronte al bene Nikolaj Berdjaev delinea le possibilità di quello che chiama una cristologia dell’uomo. Muovendo dall’idea che la rivelazione cristologica è una rivelazione antropologica, Berdjaev propone di esplorare le possibilità di una giustificazione del bene solcando nella verità sull’umanità del Cristo. Il tragico destino della libertà priva di contenuto affonda le sue radici nella libertà del vecchio Adamo, la libertà della caduta, “la libertà dell’età infantile del mondo”.

Per Berdjaev “il mistero della natura divina dell’uomo” rappresenta l’orizzonte di possibilità di una libertà in grado di giustificare il bene, di rendere ragione del perché il bene. Questo è il senso della creazione di cui parla Berdjaev. «Nell’insufficienza del nostro linguaggio umano – afferma – parliamo di una creazione ex nihilo, stiamo parlando, in verità, di una creazione sorta dalla libertà». Non esita Berdjaev nel sostenere che “il secreto della creazione è il secreto della libertà”. Insondabile secreto che l’umanità del Cristo può rivelare come via d’uscita dall’illusoria strada dell’individualismo che tutto distrugge. «L’uomo secondo il Cristo – dice Berdjaev – è già una creatura nuova che percepisce una nuova libertà». Nell’orizzonte di una libertà nuova aperto dall’umanità del Cristo, Berdjaev vede provvidenziale il fatto che il cammino della creazione umana non sia stato tracciato nelle Sacre Scritture. «L’attività creatrice dell’uomo – sostiene – non ha la sua sacra scrittura, né le sue vie rivelate al di sopra dell’umanità». In questa radicale quanto abissale profondità dell’uomo, solo di fronte a se stesso nell’esperienza di creazione, Berdjaev scorge l’enigma del secreto umano. Secreto della dignità umana custodito “dalla santa autorità del Vangelo per il suo silenzio sulla creazione”.

Si tratta quindi di un percorso apofatico della libertà che salvaguarda nel silenzio ciò che la parola non riesce né riuscirà a pronunciare. «Se i sentieri della creazione fossero stati indicati e giustificati dalla Scrittura – afferma Berdjaev – la creazione sarebbe stata obbedienza, non sarebbe stata creazione». In tempi oscuri di sofferenza e devastazione l’antropologia cristologica di Berdjaev è buona notizia di liberazione. La sua potenza libertaria è custodita nell’autorevolezza del suo silenzio. Autorevolezza che richiama anche quella dei piccoli, dei poveri, degli oppressi. Autorevolezza del silenzio assordante degli ultimi, sordo clamore dei senza voce che l’autorità del Cristo ha innalzato a testimoni della sua presenza nella storia. Come la figura del misterioso Prigioniero di Dostoevskij, alla quale si ispira il pensiero di Berdjaev, che nel silenzio testimonia la dignità dell’umano, libera di fronte alla logorroica prepotenza del cardinale Grande Inquisitore, triste e perverso emblema della verbosa arroganza dei potenti.

Fonte: L’Osservatore Romano – 18 novembre 2022
Titolo originale: Alla scoperta dei meccanismi del male. Una riflessione sulla pace a partire dall’umanesimo cristologico di Berdjaev.
[L’articolo è qui riproposto per gentile concessione del direttore responsabile dell’Osservatore Romano]