Nel suo ultimo editoriale per Aggiornamenti Sociali, padre Giuseppe Riggio S.I., direttore della rivista dei gesuiti di Milano, prende spunto da un passo delle Città invisibili di Calvino per invitare a “riconoscere ciò che, in mezzo all’inferno, non è inferno” e a dargli spazio.
L’inferno evocato dallo scrittore è quello delle guerre, delle sopraffazioni e delle ingiustizie che segnano il nostro tempo. Ma — scrive Riggio — proprio in questi momenti si misura la capacità di resistere alla logica della violenza e di alimentare una speranza concreta, fondata sul coraggio e sulla fraternità.
Una flotta anomala nel Mediterraneo
L’editoriale si concentra sull’esperienza della Global Sumud Flotilla, una quarantina di imbarcazioni a vela partite da vari porti del Mediterraneo — Genova, Catania, Barcellona, Tunisi — per portare aiuti umanitari alla popolazione palestinese di Gaza.
A bordo, seicento persone provenienti da quarantaquattro Paesi: marinai, attivisti, parlamentari, uniti dal principio della nonviolenza e dal rispetto del diritto internazionale.
Pur consapevoli dei rischi, gli equipaggi hanno scelto di trasformare il Mediterraneo da frontiera a luogo di solidarietà, affermando la possibilità di un impegno comune al di là dei confini politici e religiosi.
Davide contro Golia
Riggio interpreta la Flotilla come un simbolo di resistenza morale, richiamando la sproporzione tra Davide e Golia. La sfida non è nella forza, ma nella logica: da una parte la prepotenza che alimenta la guerra, dall’altra la fiducia nella giustizia e nella dignità dell’uomo.
Anche quando le istituzioni tacciono, scrive il gesuita, l’iniziativa civile diventa un “accelerante etico della legalità”, un modo per ricordare che la pace non è solo il frutto di accordi, ma il riflesso di un dovere morale da rinnovare ogni giorno.
Lo “spreco” della speranza
Affidarsi al vento, esporsi al rischio, testimoniare con la propria presenza: nella Flotilla Riggio riconosce uno “spreco fecondo”, un gesto di fede nella vita che non si misura sull’efficacia immediata ma sulla capacità di resistere.
Questa scelta, apparentemente anacronistica, diventa un atto di umanità condivisa.
Uscire dall’inferno della violenza — conclude Riggio — significa scegliere di far durare ciò che non è inferno, rendendo visibile, in mezzo alla distruzione, il volto ancora possibile della pace.