Papa Francesco ha scritto una lettera ai Vescovi di tutto il mondo per presentare il Motu Proprio “Traditionis Custodes” sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970.
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Il Motu Proprio è ispirato a diverse finalità: fare in modo che il rito liturgico della Chiesa cattolica rinnovi la sua originale tradizione; evitare che venga messo in dubbio l’insegnamento del Concilio Vaticano II; evitare che alcuni utilizzino la liturgia preconciliare per promuovere correnti scismatiche; evitare che vengano commessi abusi in una direzione o nell’altra.
Papa Francesco ha spiegato che sono chiari i motivi che hanno indotto san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a concedere la possibilità di usare il “Messale Romano” promulgato da san Pio V, edito da san Giovanni XXIII nel 1962, per la celebrazione del Sacrificio eucaristico.
L’indulto della Congregazione per il Culto Divino nel 1984, confermato da san Giovanni Paolo II nel Motu Proprio “Ecclesia Dei” del 1988, è stato motivato dalla volontà di favorire la ricomposizione dello scisma con il movimento guidato da mons. Lefebvre.
La richiesta, rivolta ai Vescovi, aveva dunque una ragione ecclesiale di ricomposizione dell’unità della Chiesa.
Quella facoltà venne però interpretata da molti, all’interno della Chiesa, come la possibilità di usare liberamente il “Messale Romano” promulgato da san Pio V, determinando un uso parallelo al “Messale Romano” promulgato da san Paolo VI.
Al fine di risolvere tale situazione, Benedetto XVI nel 2007 era intervenuto sulla questione con il Motu Proprio “Summorum Pontificum”, per introdurre un regolamento giuridico che concedesse una «più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962».
Benedetto XVI muoveva dalla convinzione che nelle comunità parrocchiali non ci sarebbero state spaccature, perché «le due forme dell’uso del Rito Romano avrebbero potuto arricchirsi a vicenda».
E invece, purtroppo, la facoltà di celebrare la liturgia preconciliare venne interpretata da molti, all’interno della Chiesa, come la possibilità di usare liberamente il “Messale” promulgato da san Pio V, determinando un uso parallelo al “Messale Romano” promulgato da san Paolo VI.
Per questo motivo papa Francesco ha incaricato la Congregazione per la Dottrina della Fede di inviare ai Vescovi un questionario sull’applicazione del Motu Proprio di Benedetto XVI “Summorum Pontificum”.
«Le risposte pervenute – ha precisato Francesco – hanno rivelato una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire.
L’intento dei miei Predecessori di ritrovare l’unità è stato spesso gravemente disatteso.
L’offerta di san Giovanni Paolo II di ricomporre l’unità del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni.
Mi addolorano allo stesso modo gli abusi nella celebrazione della liturgia».
Il Pontefice ha lamentato che in molti luoghi la liturgia viene celebrata con deformazioni al limite del sopportabile. «Mi rattrista – ha affermato – un uso strumentale del “Missale Romanum” del 1962 sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la “vera Chiesa”».
«Dubitare del Concilio – ha sottolineato Francesco – significa dubitare delle intenzioni dei Padri, i quali hanno esercitato la loro potestà collegiale in modo solenne “cum Petro et sub Petro” nel Concilio ecumenico». E significa, in ultima analisi, «dubitare dello stesso Spirito Santo che guida la Chiesa».
Papa Francesco ha spiegato in maniera chiara che «è sempre più evidente, nelle parole e negli atteggiamenti di molti, la stretta relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti al Concilio Vaticano II e il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la “vera Chiesa”».
Ed ha aggiunto: «Si tratta di un comportamento che contraddice la comunione, alimentando la spinta alla divisione. È per difendere l’unità del Corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei Predecessori».
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