Enrico Letta ha chiuso domenica la Festa dell’Unità di Roma con un’intervista centrata sul tema del partito come intelligenza collettiva. Questo intervento solleva un dubbio: non è che si evoca con il titolo assegnato all’intervista un qualcosa di più omogeneo a talune formule in voga presso i cultori di una politica ridotta a flussi di informazioni e gestione dati? 

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Se penso al concetto di “intelligenza collettiva” la prima cosa che mi viene in mente è la Chiesa già a partire dalla derivazione etimologica: chiesa da εκκλησία ovvero assemblea, più persone riunite insieme per un fine che va al di là delle proprie esistenze individuali, per degli scopi che non è possibile conseguire da soli. 

Pensate agli Undici della Pentecoste e poi ai Concili ecumenici. Poi certo il principio assembleare si è dovuto bilanciare con il principio petrino del potere assoluto del Papa, ma i due ovviamente coesistono. Il concilio Vaticano II ad esempio è stata una mega manifestazione di intelligenza collettiva. E poi ci sono altre parole fondamentali del lessico ecclesiastico tipo Sinodo,  “συν οδόσ” “la strada insieme” a chiarire che la dimensione collettiva è essenziale, ma appunto perché c’è un “andare verso” che è già presupposto. 

Gli antichi non avevano questo tipo di “intelligenza collettiva”. L’accademia platonica o la Stoà oppure l’Areopago, erano collettivi di intelligenti ma non  erano “intelligenza collettiva”. Poi è arrivato Gramsci che ha studiato la Chiesa cattolica e Machiavelli e ha trovato la formula del “Partito come moderno Principe” e del “partito come intellettuale collettivo”.  

Non so se Letta è consapevole di questo processo o se replica  concetti orecchiati. Certo, come ho cercato di dimostrare l'”intelligenza collettiva” funziona se esiste una finalità condivisa, un riferimento ideale comune e potente. A naso direi che αγορά, che in greco vuol dire “piazza”, non assicura nulla sulla produzione di “intelligenza collettiva”, peraltro abbiamo gia conosciuto “Piazza Grande” e non è proprio andata come indica l’aggettivo. Ma siamo qui. Resistiamo e continuiamo a sperare.

[Tratto dalla pagina Fb dell’autore]