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lunedì, 19 Maggio, 2025
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Papa Prevost, l’amore e noi

L’omelia del Pontefice nella messa d’inizio pontificato - ieri in Piazza San Pietro - rilancia l’amore come fondamento umano e cristiano. Una chiamata radicale, tra timore e speranza, che riguarda tutti noi.

Le parole del Santo Padre nella sua omelia in occasione della messa d’inizio pontificato sono note ma vale la pena provare una riflessione. Il Santo Padre ha confermato la sua forma espressiva composta di semplicità e determinazione. A condimento ha messo anche una quota di emozione che non ha saputo e neppure voluto mascherare perché sta a mostrare, oltre i sentimenti che ti ballano nel cuore, anche la dimensione della responsabilità che assumi di governare e che il mondo deve aver chiaro ti carichi sulle spalle. 

Gli è stato infilato l’anello del “pescatore” e per un attimo i ruoli si sono ribaltati. E’ stato preso all’amo dal suo Dio che gli ha detto che ora tocca a lui il governo della Chiesa e deve badare subito a fare esperienza per prendere al laccio una umanità smarrita per ogni dove. La prima vittima di Dio è stata Papa Prevost e da qui non si torna indietro. 

Quella del Santo Padre sono state parole di particolare violenza, sbattendo in faccia al mondo una realtà con cui fare i conti e per la quale c’è poco da fare orecchie da mercante.

Ha invocato una pace alla quale i Grandi della terra, per non essere soppiantati, dovrebbero trovare urgente attuazione, magari imbeccati dal verso che recita: “Una pace che neutralizza / E un discredito medio / Sono onore a scoprirsi / Per altri dopo”.

Ha parlato dell’Amore e di nuovo gli ha dato timbro di un fatto straordinario, come per la prima volta sulla scena dell’umano. La qualità di questo Papa è nel rendere nuovo e inaudito ciò che per secoli è già stato detto. 

Sua Santità ha ammesso di aver provato “timore e tremore” al momento della sua elezione. Si è ispirato evidentemente ai suoi studi su Kierkegaard e si riferiva al Salmo 55 in cui l’uomo affida le sue speranze al Creatore consapevole della esiguità dei suoi poveri mezzi. 

“Timore e tremore mi invadono e lo sgomento mi opprime” è la condizione dell’uomo di oggi e si contrappone è alla gioia di Paolo che si compiace per la conversione dei Corinzi che hanno accolto il suo inviato Tito con quei sentimenti di rispetto e di ansia. 

Timore e tremore sono per il filosofo danese lo stato d’animo relativo alla obbedienza di Abramo nel sacrificare il figlio Isacco a Dio e lo è ancor più quello dell’umanità che invece stenta a rassegnarsi al loro bene, schiva a pagare anche il minimo dazio alla salvezza.

Papa Prevost non si è accontentato di esprimere lo stato d’animo che ha provato al momento della sua elezione e che tutt’ora lo segna. Ha richiamato l’auspicio per l’unità dei cristiani che ora appare inconcepibilmente non ancora nei fatti, una posizione del tutto fuori dalla attualità, una sbavatura a cui occorre porre subito riparo senza altre esitazioni.

C’è un altro punto che il Pontefice ha posto in evidenza è che ha l’impatto di una martellata nella coscienza di ciascun uomo della terra. Ha avuto l’azzardo addirittura di parlare di amore, dicendo che è giunta l’ora dell’amore.

Per chi ha memoria “L’ora dell’amore” è il titolo di una vecchia canzone del gruppo dei Camaleonti che ne fecero un cavallo di battaglia dei loro tempi. Allo stesso modo l’umanità dovrebbe cambiare pelle e intuire che la sola strada da intraprendere è fare pratica dell’amore che è assai più faticosa che nutrire eserciti per la guerra. 

Si tratterebbe di gettare il cuore oltre l’ostacolo o meglio ancora oltre le trincee e sperimentare il vantaggio e la convenienza di sostituire il bene alla polvere da sparo.

È una operazione culturale di enorme portata che potrebbe segnare almeno un periodo del terzo millennio per cui si potrebbe dire che per un tempo gli uomini si amarono e non si armarono. Eppure tutto questo ancora non sarebbe sufficiente. 

Si tratterebbe di ribaltare il pensiero del poeta che dice che la Storia è fatta di quanto c’è in noi di criminale e la bontà è invece senza tempo, ragion per cui “se il sentimento di equità è restio, quello che ama di più voglio essere io”.

Ci sarebbe una tappa assai più impegnativa da raggiungere spingendosi più in là nelle ambizioni. Come già detto in altra precedente pagina “Non dignitas imaginis sed amor ergo sum”, in quanto sono stato capace di farmi amare allora ho ragione di riconoscermi e di accreditarmi di valore.

Vorrebbe dire che ci si è condotti in modo tale da poter essere oggetto di amore del prossimo. Messe le cose in questo modo sembrerebbe allora che i problemi potrebbero finalmente trovare soluzione nel miglior modo.

Dunque, “Ama e fa ciò che vuoi” di S. Agostino non è sufficiente ma neanche ci si può accontentare del richiamo a fare in maniera di essere amati.

Resta invece un terzo ostacolo forse impossibile su cui cimentarsi. L’opera grandiosa e forse ancor più insormontabile è quella di imparare ad accettare ed apprezzare l’amore che ci viene dal prossimo, di farlo proprio e di considerarlo un dono da accogliere con ogni gioia e senza alcuna ombra di reticenza. “Timeo Danaos et dona ferentes”, temi i Greci e i loro doni è un monito ormai da distogliersi di dosso.

Secondo Auden “…l’amore è insicuro, dà meno delle attese. Non sa se è seme che si mostrerà per tempo Con profusione splendida di frutti O se è solo un degenerato avanzo Di un che d’immenso nel passato che ora sopravvive però come contagio O nella caricatura maligna dell’ebbrezza….”.

Ci vorrebbe un uomo nuovo, che imponga alla storia di aggiornarsi suo malgrado e che alteri la sua piega sgualcendola finalmente al dritto e che non faccia dell’amore uno scarto.

“Io, al passo con le stagioni, mi muovo, Diverso o con un diverso amore. Né sto tanto a preoccuparmi dell’assenso, Del sorriso di pietra di questo dio rurale Che non fu mai più reticente, sempre Timoroso di dir più del voluto”.

Se Dio è misurato nelle parole, in attesa che gli uomini sappiano davvero ascoltare, Papa Prevost ha confessato timore e tremore ma anche nessuna esitazione. A noi resta soltanto prenderne atto.