Con il formale passaggio di poteri – svoltosi in una atmosfera di irreale ordine e solennità in un Campidoglio protetto da contingenti della guardia nazionale, dell’esercito e della polizia in misura mai vista prima – Joe Biden ha finalmente varcato le soglie della Casa Bianca per esercitare il suo mandato, ponendo fine al travagliato periodo di transizione iniziato subito dopo lo spoglio delle schede elettorali con la assillante denuncia di brogli mossa dal Presidente uscente e già da lui preannunciata durante la campagna elettorale per incrinare anticipatamente la fiducia della popolazione circa la regolarità della consultazione (“just in case…”).

La contestazione di Trump ha avuto momenti di tale ininterrotto delirio da contagiare subito gran parte dei suoi elettori. L’ossessione di ribaltare l’esito della consultazione elettorale lo ha indotto a presentare una lunga serie di ricorsi alla magistratura finanziati da milioni di (anche modeste) donazioni elargite dai sostenitori (si parla, comunque, di oltre duecento milioni di dollari). Tutti puntualmente respinti per mancanza di prove. Peraltro, non pochi rappresentanti repubblicani del Congresso avevano sentito il dovere di far sapere, a più riprese, al Presidente di non sopportare più il suo irrazionale ed oltraggioso ostruzionismo, senza però riuscire a frenarne un’azione distruttiva svolta con zelante impegno fino all’ultimo e culminata il 6 gennaio scorso con l’ormai storico “comizio” ritenuto all’origine dell’invasione del Campidoglio da parte di migliaia di scalmanati facinorosi, alcuni dei quali armati.  

Le immagini del cruento temporaneo colpo di mano, conclusosi con cinque morti, un centinaio di feriti e numerosissimi fermi, hanno fatto il giro del mondo, portando una formidabile stoccata all’emblema, sempre esibito con orgoglio, della tanto decantata democrazia americana, destinata a restare per molto tempo nell’immaginario collettivo soprattutto in quei paesi i cui governanti sono soliti denigrarla. Dunque, un danno d’immagine che si ripercuoterà sul piano della contesa propagandistica a livello globale continuamente in atto tra Stati Uniti e loro tradizionali avversari, pronti in futuro a rivangarlo senza alcuna esitazione (lo si può giurare) ogni qualvolta utile.

La volontà da parte democratica (condivisa ufficialmente anche da un numero non trascurabile di repubblicani) di avviare nei confronti di Trump un procedimento di “impeachement” per abuso di potere ed istigazione all’insurrezione può mantenere acceso il confronto tra elettori repubblicani e democratici con la conseguenza di rendere più complicata l’opera di risanamento sociale della nazione che Biden ha manifestato subito di voler avviare. Non a caso, il neo Presidente ha affermato che la lotta contro il Covid-19 deve essere considerata prioritaria rispetto a qualsiasi altro “dossier”, facendo chiaramente intendere che la frattura politica apparsa dopo le elezioni (ed acuita dal comportamento di Trump) dovrebbe essere rapidamente assorbita. In altri termini, dovendo fronteggiare una pandemia, che ha già provocato la morte di 400.000 persone, e contenere la gravissima perdurante recrudescenza del confronto tra bianchi e neri, il Presidente preferirebbe non attizzare il perdurante desiderio di numerosi parlamentari (“in primis”, l’influente “Speaker” Nancy Pelosi) di “punire” Trump con l’“impeachement”, anche per evitare la sua ventilata discesa in campo nel 2024.

In campo repubblicano l’ex-vice presidente Pence gli ha già dato una mano, distanziandosi nettamente dall’ex-capo (con il quale ha interrotto ogni rapporto) e presenziando disciplinatamente, come da tradizione, la cerimonia di insediamento (disertata, invece, da Trump). Analogo sostegno politico Biden sembra attendere da un vecchio compagno-avversario, il carismatico senatore repubblicano Mitch McConnel. 

Ciò detto, sull’argomento sarà il Congresso ad avere l’ultima parola.

Molti qualificati osservatori predicono per il neo Presidente una navigazione difficile, essendo le questioni da affrontare sia in politica interna che nelle relazioni estere numerose e di per sé complicate, rese più problematiche dalle decisioni prese dal predecessore. 

Si è già detto sulla pandemia, per la cui lotta egli ha già stanziato un “budget” importante e nominato un team di virologi ed epidemiologi al fine di redigere al più presto una adeguata ed aggiornata strategia per contrastare il contagio, anche alla luce della campagna di vaccinazione in atto.

Sul fronte del razzismo, Biden, anche per la sua storia professionale, appare consapevole della necessità di rafforzare una politica in grado di soffocare risentimento ed intolleranza delle comunità bianche (soprattutto sudiste ed agricole) nei confronti dei neri, sentimenti sui quali Trump ha costruito gran parte delle proprie fortune elettorali. Al tempo stesso, egli dovrà necessariamente porre un freno all’incallito comportamento brutale delle forze dell’ordine nei confronti della comunità di colore per ridurne le violente contestazioni e creare un clima di rappacificazione.

In senso più ampio, Biden dovrà impegnarsi per diminuire le gravi disuguaglianze sociali – che la pandemia, negli Stati Uniti come altrove nel mondo, ha fortemente accentuato – mediante opportune politiche di redistribuzione dei redditi ed assistenza e previdenza sociale.

Sul piano dell’economia, sotto l’aspetto della spesa federale il cammino si preannuncia in salita dal momento che con Trump essa ha registrato un notevole aumento del debito. Come farà il Partito Democratico ad evitare un ulteriore sfondamento senza ripudiare la sua tradizionale politica, che dovrebbe favorire l’adozione di vasti programmi assistenziali a favore dei milioni di americani colpiti dal Covid-19 e dal crescente livello di disoccupazione? Questo, come gli altri nodi, sarà chiamata a sciogliere il neo-Segretario al Tesoro Janet Yeden, ex-Presidente della Federal Reserve (2014-18), più volte in disaccordo con Trump in materia di tagli fiscali, che – a suo dire – hanno aumentato il livello di spesa pubblica senza apportare benefici alle classi meno abbienti.

In politica estera, Biden, dopo avere affidato il dicastero ad Anthony Blinken, diplomatico di lungo corso, notoriamente internazionalista, si è affrettato a lanciare un significativo messaggio alla Comunità Internazionale, decidendo il pronto rientro nell’Organizzazione Mondiale della Sanità e negli Accordi di Parigi sul clima, volendo marcare pertanto una inequivocabile distanza dal predecessore, che quei tavoli aveva platealmente deciso di disertare. Al tempo stesso, egli ha lanciato segnali incoraggianti all’Iran (prossimo ritiro delle sanzioni?) ed al mondo arabo (abolizione della normativa che impedisce l’ingresso nel Paese dei cittadini di quell’area). 

Comunque, l’obiettivo prioritario di fondo appare essere quello di rafforzare le alleanze globali, indebolite dalla ideologia isolazionista di Trump, al fine di attuare anche una politica di sicurezza nazionale che non escluda il concorso di paesi alleati ed amici.

Per definire il difficile compito che attende il navigato Biden alcuni analisti hanno scomodato i nomi di Abraham Lincoln alla vigilia della guerra civile e Franklin Delano Roosevelt alle prese con la Grande Depressione. 

Tali raffronti, anche se più o meno esagerati, danno tuttavia la misura delle difficoltà che il 46mo Presidente degli Stati Uniti sarà chiamato ad affrontare.