Qualcosa di profondo sta cambiando nel cuore della geopolitica globale. Lo si avverte non tanto nei comunicati ufficiali o nelle parate solenni, ma nei movimenti discreti, nei segnali che emergono al di là dei proclami ufficiali, nelle nuove convergenze che si consolidano fuori dai radar occidentali.
Il vertice cinese e la stagione post-americana
Il recente vertice ospitato in Cina è stato ben più di un appuntamento diplomatico: è stato lo specchio e, insieme, il motore di un cambiamento strutturale nell’ordine internazionale. Non un evento isolato, ma il riflesso di una trasformazione in corso da tempo.
Per chi osserva con attenzione i segnali del mondo multipolare che avanza, è ormai evidente che la stagione post-americana non è una prospettiva lontana, ma una realtà già presente. Non si tratta solo di un calo d’influenza economica o militare degli Stati Uniti, ma della progressiva perdita di centralità nel proporre un modello condiviso.
Cultura e continuità imperiale
Il vertice cinese ha chiarito con forza che il baricentro del sistema internazionale si sta spostando verso Est. Non è più l’Occidente a convocare il mondo, è la Cina. Pechino non si limita a negoziare alleanze, propone una visione alternativa di ordine globale fondata sulla stabilità più che sul pluralismo, sull’efficienza più che sul consenso.
Mentre l’Occidente decostruisce sé stesso, la Cina recupera la propria continuità imperiale, trasformandola in leva diplomatica. Laddove le democrazie ragionano per cicli elettorali, Pechino pianifica in cicli storici. Il fascino cinese non risiede solo nella potenza economica, ma nel messaggio implicito: in un mondo disordinato, c’è chi sa ancora dove vuole andare.
Mosca garante militare, India pragmatica
A consolidare questa traiettoria contribuisce l’intesa sempre più stretta tra Pechino e Mosca. Non è un’alleanza valoriale, ma un equilibrio cinico, fondato sulla volontà di contenere l’egemonia occidentale. Putin gioca il ruolo di garante militare di un nuovo ordine basato sulle sfere di influenza e sulla sovranità brandita contro ogni pretesa universale.
Il terzo vertice è l’India. Un tempo percepita come contrappeso democratico alla Cina, oggi Nuova Delhi si muove in direzione diversa dalle attese occidentali. Modi incarna un pragmatismo che privilegia convergenze temporanee con Pechino, piuttosto che un legame esclusivo con un’America indebolita e incerta.
L’Occidente in crisi di identità
Tutto questo accade mentre l’Occidente appare come l’unica civiltà che dubita di sé stessa. In nome dell’autocritica ha smesso di credere nella propria forza, in nome del pluralismo ha disperso la sua identità, in nome della pace ha rinunciato alla deterrenza. Le divisioni interne all’Unione Europea accentuano la frattura tra classi dirigenti e comunità.
La Cina parla di pace, sviluppo e cooperazione, ma propone un ordine gerarchico in cui chi accetta la supremazia viene accolto e chi la contesta viene marginalizzato. L’Europa rischia di restare uno spazio interstiziale, senza direzione né influenza.
Tornare a credere in se stessi
Non bastano più le nobili radici, né le lezioni del passato. Occorre una visione del futuro che declini libertà, solidarietà, cultura e responsabilità in una proposta geopolitica credibile. Come ricordava Aldo Moro: “La politica estera è la proiezione della nostra credibilità. Senza un’idea chiara di noi stessi, non possiamo avere alcun ruolo nel mondo”.
Quelle parole risuonano oggi come un monito. Prima di tornare a contare nella Storia, l’Occidente deve tornare a credere in se stesso.