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venerdì, 12 Settembre, 2025
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Per un riformismo consapevole

Le culture riformiste attraversano una stagione difficile. Dal sogno della koinè liberale degli anni Novanta all’urto dei populismi globali, il riformismo può sopravvivere solo se diventa più consapevole.

È una stagione assai travagliata per le culture riformiste, in tutta Europa. Gli anni della mia maturazione politica sono stati i Novanta e gli inizi del XXI secolo (a essi ho anche dedicato un pamphlet), all’indomani del crollo del Muro di Berlino (1989). Seguivo da vicino, in particolare, le elaborazioni politico-culturali di Michele Salvati, che si potevano condensare in un’espressione: koinè liberale. L’idea che le grandi correnti riformiste – cattolica, socialista, liberaldemocratica, ambientalista – potessero incontrarsi, condividere lo stesso linguaggio, perseguire gli stessi obiettivi. Insomma, un nuovo inizio: il neo-riformismo.

Dalla koinè liberale al corpo a corpo globale

Si trattava, in primo luogo, del connubio fra i cattolici liberali e democratici e i socialisti liberali e democratici. Certo, si scorgevano antichi tic e zavorre del passato che avrebbero potuto ostacolare il nuovo corso, ma la direzione sembrava quella. Il fenomeno, del resto, si poneva lungo il solco del pensiero di Ralf Dahrendorf, per il quale ormai in Occidente il confronto sarebbe avvenuto fra una destra liberale e una sinistra liberale.

Senonché un “folletto” si è frapposto a uno scenario del genere: l’affermarsi del neo-populismo, dei neo-populismi. Quasi che, ormai, il confronto fosse tra neo-riformismo e neo-populismo. Di certo non si era al cospetto della “fine della storia”, come pure qualcuno aveva ipotizzato, del tipo: “vissero tutti contenti e felicemente liberali”.

Verso un neo-riformismo consapevole

Si tratta, in realtà, di eventi possenti, non di semplici e riduttivi “ismi”: la globalizzazione era (è) caratterizzata da profonde linee di frattura, da sommovimenti senza precedenti su scala planetaria, da veri e propri tsunami economici, ecologici, culturali, finanziari, politici. A cogliere forse meglio di altri la natura ancora conflittuale, anzi il carattere più che mai conflittuale della nostra epoca e, più in generale, il conflitto come ingrediente costitutivo dell’umano e, dunque, del politico è stato, in particolare, Biagio de Giovanni. Il quale ha di recente proposto l’immagine altamente evocativa del corpo a corpo. Un corpo a corpo globale.

Come porci, in un quadro del genere? Davvero il riformismo è morto? Credo, in realtà, che occorra far leva su una sorta di neo-riformismo consapevole di tali dinamiche, rispetto al neo-riformismo ingenuo degli anni Novanta.