Perché la Resistenza è un patrimonio comune

È stato il moto risorgimentale che ha raccolto in tutti i ceti, fino ai più umili, fino al più disancorati dai grandi movimenti storici l'adesione alla lotta, al dolore, anche a costo della vita.

Brigate del popolo si chiamavano le formazioni democratiche cristiane operanti nel periodo della Resistenza. Ed era questo, tra gli altri, un modo di qualificare l’intendimento e lo spirito col quale i cattolici parteciparono alla lotta per la liberazione e al rinascimento della Patria. Non era, cioè, intendimento di monopolio o spirito di fazione, ma ricerca e qualificazione di quel fondo comune, largamente popolare, per cui la Resistenza non fu soltanto un movimento militare, ma uno stato d’animo, una ribellione morale del popolo italiano.  

A distanza di dieci anni dal compimento della vicenda resistenziale possiamo dire che va riaffermata, come la più valida, questa concezione della Resistenza alla quale hanno partecipato – con differente contributo dl azione, di sacrificio di sangue, di pena, ma con unanime tensione di spirito – tutti gli Italiani che non fossero accecati dal livore fazioso, illusi circa il modo di salvare la Patria dalla rovina già in atto, o egoisticamente indifferenti alla sorte comune. 

Questo è, per noi, il modo migliore e il più appropriato di celebrare la Resistenza rilevandone uno degli aspetti più originali ed espressivi tra i grandi fatti della nostra storia nazionale: l’essere stata, cioè, il moto risorgimentale che ha raccolto in tutti i ceti, fino ai più umili, fino al più disancorati dai grandi movimenti storici l’adesione alla lotta, al dolore, anche a costo della vita; senza distinzione di provenienza sociale, non solo nell’alone eroico della tortura e della morte, ma nella fatica, nel rischio dell’assalto e nel disagio dell’addiaccio e della macchia. 

Doveva essere così: la resistenza era nata carica delle esperienze tristi d’un regime che aveva monopolizzato e mortificato il senso della Patria come libera convergenza di solidali interessi popolari, che aveva trasferito ad una oligarchia come esclusivo di essa il diritto di interpretare la volontà dei cittadini, che aveva distorto lo sviluppo storico di un popolo giovane avviato alla naturale crescita della sua dignità civile e sociale, che aveva fatto della legge uno strumento di sopraffazione della libera discussione e che – nato dall’esercizio della violenza privata – con violenza esercitava i pubblici poteri per soffocare l’autonoma espressione della coscienza dei cittadini. Ma la Resistenza era nata – proprio per questa esperienza – piena di speranze: ed era la speranza che alimentava la ribellione e la attesa […]

[Prima parte dell’editoriale dell’allora vice segretario della Dc: Mariano Rumor, Un patrimonio comune – “Il Popolo”, 24 Aprile 1955]