In base al rapporto di collaborazione tra le due testate, Il Domani d’Italia e Orbisphera, pubblichiamo il testo integrale dell’articolo di Paolo Sorbi 

Da un po’ di tempo in qua nelle pubblicazioni della grande stampa “liberal” europea si può notare una sorta di presa di distanza dai contenuti pastorali – e più chiaramente sociali – del pontificato di papa Francesco.
Ma se all’inizio del suo pontificato il Pontefice argentino fu, in parte, accettato e sostenuto da queste stesse realtà liberali, come si spiega l’attuale sordo “mormorar dissidenze” di tutti i tipi?
Molto semplicemente perché la posizione di papa Francesco NON è riducibile ad un generico progressismo basato sulla cultura dei diritti individuali. Anzi tutt’altro. Il nocciolo duro della proposta pastorale e culturale dell’attuale pontificato si basa sul pensiero personalista e comunitario che trova i suoi fondamenti nella “Teologia del popolo”, una corrente teologica nata in Argentina dopo il Concilio Vaticano II.
Nella versione di papa Francesco “l’opzione preferenziale per i poveri si espande fino a diventare opzione preferenziale per gli esclusi”, e si radicalizza recuperando l’animo movimentista nelle posizioni economiche.
La “Teologia del popolo” differisce dalla teologia di liberazione superando la concezione della lotta di classe verso una partecipazione pluralista e democratica, dove ogni cultura apporta un contributo all’umanità e dove le differenze sono rispettate.
Papa Francesco avversa la concezione speculativa e utilitaristica del denaro, critica il concetto “sacrale” della proprietà privata, rigetta le vecchie e nuove schiavitù e il vecchio e nuovo colonialismo.
E come se non bastasse, il Pontefice attacca apertamente l’industria delle armi, le lobby che gestiscono i combustibili fossili e quelle che speculano sui farmaci.
Tutto questo TRAVALICA nella sostanza le posizioni “liberal” sopra accennate, che mal sopportano la rivendicazione popolare e impolitica di papa Francesco.
Per questi ambienti fino a che si parla dei diritti individuali o di presenza delle donne nella gestione dei Dicasteri romani, la cosa è accettabile. Ma appena si toccano questioni di fondo ECONOMICHE, ecco che scatta lo stop “super-liberale”.
C’è poi un’altra serie di problemi che riguardano l’emergenza antropologica e che i liberisti non vogliono sentire.
Si tratta di questioni gravissime, come lo sfruttamento delle donne tramite l’utero in affitto (ormai business su scala internazionale), la cancellazione e neutralità delle relazioni di genere, la ricostruzione scientifica sulle questioni embrionali, la rieducazione anti droghe (dalla cannabis agli impasti terribili di eroina con altre sostanze chimiche), il rispetto educativo verso qualsiasi minoranza etnico-culturale, e così via.
A questo proposito, sostengo da oltre trent’anni che UNO DEI PASSAGGI CENTRALI per la ricostruzione della sinistra democratica su scala internazionale è una nuova riflessione umanistica per tentare di superare l’egemonia dell’attuale “nichilismo dolce” sostenuto da questi stessi gruppi “liberal”.
Ciò che più stupisce è che certi ambienti “liberal” vorrebbero un Papa ricostruttore del “barocco teologico-politico romano”.
Questo è anche il motivo per cui non riescono ad accettare l’Enciclica “Fratelli tutti”.
Soprattutto nella seconda parte, l’ultima Enciclica di Papa Francesco propone un forte appello in difesa dell’impegno politico e della militanza sociale.
Le realtà borghesi a cui sopra accennavo non hanno compreso il nocciolo duro della proposta evangelica, né le grandi linee dei “segni dei tempi” emerse dal Concilio Vaticano II e che da sessant’anni “lavorano” nel profondo delle coscienze cristiane.
Cercano irreali e fasulle contrapposizioni con le elaborazioni ratzingeriane o del Pontefice polacco, che al contrario sono in profonda sintonia con Papa Francesco (anche se ognuno con la sua peculiare personalità).
Da tutto ciò, l’ipocrita nostalgia di una “cristianità che fu” e che oggi non ci appartiene.
Non appartiene alla sostanza di questo pontificato. Non può appartenervi, perché esso è tutto proiettato verso un Cristianesimo libero da “barocchismi” di passate esperienze di cristianità colluse con i potenti.
Oggi siamo per venti nuovi e luoghi nuovi. Verso dove? Se il senso autentico di questo pontificato è “suscitare processi” piuttosto che governarli – come spesso dice papa Francesco – allora una Chiesa non priva di strutture, ma con STRUTTURE POVERE E SEMPLICI, funzionali ai disegni missionari globali, potrà indicare la via per DISTACCARCI dalla visione neocolonialista occidentale e operare nei NUOVI punti strategici delle ingiustizie mondiali.
Come viene descritto negli “Atti degli Apostoli” e nella decisiva “Lettera a Diogneto”, vera “carta costituzionale” della vita di testimonianza povera dei cristiani: dall’antico Impero alle odierne reti metropolitane “digitalizzate”.
Questa è la strada che ci indica papa Francesco, le cui radici si trovano abbondantemente nel Concilio Vaticano II.
Lì nelle realtà della globalizzazione stravolta, si misurerà chi ha più filo da tessere verso la QUANTITÀ delle moltitudini proletarie e scartate, verso le intelligenze migliori, come diceva il mio carissimo don Milani, “disposte ad abbassarsi verso i ‘Gianni’ della storia contro i ‘Pierini’ di tutti i tipi”. Vincenti “perché sanno parlare meglio”.
È ora di saperne una parola in più dei padroni dei giornali e delle economie dello sfruttamento.