I “cattolici professionisti” e la superiorità etica autoproclamata
Se ne parla da molto tempo ma un federatore autorevole, qualificato, rappresentativo e sufficientemente inclusivo di un Centro laico ma di matrice cattolico popolare e sociale continua a non esserci.
Le ragioni sono molte, ma sostanzialmente sono tre le motivazioni di fondo che hanno impedito, almeno sino ad oggi, di avere una figura che risponda a quei requisiti.
Innanzitutto non può essere una persona che interpreta la vulgata e la prassi — ben nota in un segmento storico e preciso dell’area cattolica italiana — dei cosiddetti “cattolici professionisti”.
Oppure i “cattolici adulti”, come li definiva in tempi non sospetti il suo leader più rappresentativo e più conosciuto, cioè Romano Prodi.
Si tratta di una corrente culturale che identifica la propria esperienza con quella più titolata, più autorevole, più coerente e anche eticamente più intransigente e superiore nel rappresentare, appunto, i “cattolici adulti”.
Un settore ben inserito nei gangli del potere economico, politico, finanziario, con una stampa — rigorosamente di sinistra e progressista — compiacente a supportarla e ad esaltarla in ogni momento.
È il progetto interpretato, oggi, autorevolmente da Ernesto Maria Ruffini, l’ex direttore di Equitalia e dell’Agenzia delle Entrate.
I partiti personali: il carisma che uccide l’inclusione
Una seconda motivazione è riconducibile alla presenza dei partiti personali.
Partiti, cioè, che hanno capi indiscussi e indiscutibili.
E, tra questi, esistono leader politici riconosciuti e carismatici anche di matrice cattolica — come Matteo Renzi, ad esempio — che però identificano il destino e la stessa prospettiva del loro partito con la loro fortuna politica personale.
È di tutta evidenza che il profilo politico di questi leader non può essere quello più congeniale per costruire un luogo politico sufficientemente rappresentativo ed inclusivo.
La strada per dar vita a un partito, luogo o raggruppamento — sempre rigorosamente laico e plurale, centrista e di matrice cattolico-democratica, popolare e sociale — non passa attraverso questa modalità.
L’irrisolta frammentazione cattolica dopo la Dc
In ultimo, ma non per ordine di importanza, c’è la difficoltà congenita e strutturale del vasto, articolato, plurale e composito mondo cattolico italiano a favorire un processo di ricomposizione politica, culturale e organizzativa.
Una difficoltà che parte da lontano e che si è accentuata dopo la fine della Democrazia Cristiana, e con il definitivo tramonto di ogni parvenza di unità politica dei cattolici.
Questo ha favorito una perdurante e strutturale frammentazione e polverizzazione della presenza politica dei cattolici, creando le condizioni per una progressiva irrilevanza ed insignificanza della stessa cultura del cattolicesimo politico italiano.
Perché il federatore non c’è (e come potrebbe nascere)
Ecco perché — e purtroppo — non si intravede all’orizzonte un possibile e potenziale “federatore” che provenga dall’area cattolica e che, al contempo, possa ergersi a punto di riferimento inclusivo dell’area cattolica, centrista, riformista e di governo nel nostro Paese.
Ma, comunque sia, conoscendo le criticità, forse è possibile anche prendere atto di quali sono i punti nodali da sciogliere per far ripartire un vero progetto politico, capace di superare definitivamente le difficoltà che nel frattempo si sono — purtroppo — sempre più consolidate.

