PIAZZE VUOTE, URNE PIENE? LA PARTECIPAZIONE, SCARSA NEI COMIZI, PUÒ MANIFESTARSI AI SEGGI E METTERE ALL’ANGOLO LA DESTRA.

Di fronte ai cittadini si addensano i problemi della crisi:  la guerra, il carovita, la contrazione dell’economia obbligano a riflettere sulle scelte da compiere domani, domenica 25 settembre, attraverso la scheda elettorale. Deve essere chiara la posta in gioco: l’Italia che dava la linea in Europa, grazie al prestigio di Draghi, può essere risospinta ai margini di un declassamento senza via d’uscita, inevitabile prodotto del sovran-populismo di Meloni, Salvini e Berlusconi.

Tra Roma e Napoli, osservando i reportage televisivi, le immagini delle piazze non hanno dato quel riscontro di partecipazione che pure avrebbe richiesto la mobilitazione dei partiti a chiusura di questa tesissima campagna elettorale, senz’altro decisiva per il futuro del Paese. È un segno ulteriore della scivolosità di una politica mediatizzata dove la scenografia si riduce alla personificazione del messaggio agli elettori, senza più l’intelaiatura della tradizionale lotta per il voto. Rimangono gli slogan, le vecchie parole d’ordine, gli appelli di una volta; spariscono, invece, i legami di massa per i quali la propaganda era la fisica rappresentazione di un corpo a corpo con le istanze popolari. Avviene persino che molti degli eletti siano identificati al momento della formazione delle liste, sicché le  trattative e le decisioni in seno ai partiti e alle coalizioni si antepongono alla volontà degli elettori, svuotando d’interesse e di passione la battaglia nei collegi.       

Si è andati troppo oltre nell’ambigua pretesa di purificare la politica. Da quel lontano referendum sulla preferenza unica, ideato in risposta alla tentacolarità della partitocrazia, si è  arrivati alla inaugurazione di un modello ancora più accentrato di organizzazione del potere. Questo ci consegna platealmente, essendo sotto i nostri occhi come  espressione di un irrefrenabile tendenza all’oligarchismo, la desertificazione del “paesaggio democratico”. Non possiamo far finta che il proposito della Destra di cambiare la Costituzione, quale che sia l’atteggiamento dell’opposizione, non rientri in questa logica di semplificazione dei meccanismi di governo, con una implicita forzatura cesaristica. 

Di fronte ai cittadini si addensano i problemi della crisi:  la guerra, il carovita, la contrazione dell’economia – e l’elenco potrebbe continuare – obbligano a riflettere sulle scelte da compiere domani, domenica 25 settembre, attraverso la scheda elettorale. Può darsi, allora, che la posta in gioco motivi comunque gli italiani a non disertare l’appuntamento con le urne. Sarebbe quanto mai auspicabile non solo per la cosa in sé, ovvero per l’importanza connessa alla riduzione dell’astensionismo, tanto necessaria ai fini della rivitalizzazione della democrazia, quanto per la presumibile “entrata in campo” di quegli indecisi che nelle ultime ore stanno prendendo coscienza del rischio rappresentato da un governo della Destra. L’Italia che dava la linea in Europa, grazie al prestigio di Draghi, può essere risospinta ai margini di un declassamento senza via d’uscita, inevitabile prodotto del sovran-populismo di Meloni, Salvini e Berlusconi. È uno scenario che merita un sussulto di consapevolezza, anche un’assunzione di responsabilità, perché il Paese non ha futuro con il disordinato e aggressivo programma della Destra.