Non tutte le figure del cattolicesimo politico italiano hanno avuto il tempo storico di sedimentare una narrazione condivisa. Gianni Baget Bozzo è una di quelle che continuano a suscitare interrogativi, giudizi divergenti, riprese intermittenti. Il merito di Pietro Giubilo è di riportare questo percorso nell’alveo di una genealogia reale, non immaginaria: non un itinerario “eccentrico”, ma la traiettoria di un uomo che ha cercato, senza timori, la sintesi tra storia nazionale, libertà politica e vocazione cristiana.
Il laboratorio intellettuale degli anni Cinquanta
Giubilo richiama con precisione il ruolo di “Terza Generazione”, la rivista in cui Baget tentò la rinuncia agli automatismi identitari ereditati dalla guerra civile italiana ed europea. Non per cancellare, ma per trasformare. La parola “nazione”, in quel contesto, non è fantasma identitario, ma oggetto di discernimento culturale. Lo sguardo non alludeva a restaurazioni, bensì a un lavoro pre-politico: rigenerazione delle categorie, ricomposizione del corpo sociale, ricerca di una soglia civile nuova.
La critica al “partito cattolico”
Da qui la delusione per la Democrazia Cristiana. Giubilo evidenzia come, secondo Baget Bozzo, la Dc non abbia mai realmente assunto la questione nazionale in chiave fondativo-culturale. Questo limite, segnato da un tecnicismo politico sempre prevalente sulla visione ideale, avrebbe impedito ai cattolici di diventare soggetto autenticamente interpretativo della storia italiana. È un capitolo che merita, secondo Giubilo, un esame critico adeguato.
Presidenzialismo, riforma, questione istituzionale
Nella seconda fase dell’esperienza religiosa e politica, il pensiero di Baget Bozzo si sposta sulla crisi dello Stato. Egli non è profeta del leaderismo, ma analista della ricerca di un ordine democratico più responsabile, capace di liberarsi dalla partitocrazia. Da “Ordine Civile” a “Lo Stato”, – due riviste da lui promosse – l’intuizione presidenzialista non era “sovversiva”: era una ipotesi di rifondazione attraverso l’autorità legittimata dal voto, non dalla mediazione opaca dei partiti.
Continuità fino a Craxi e Berlusconi
Giubilo mostra come questa linea non sia stata una deviazione biografica, ma un filo che arriva fino alla “Grande Riforma” socialista e al “cambio di fase” del 1994 con l’zvvento di Berlusconi. Una linea riconoscibile per coerenza e linearità, pensata a fondo prima di essere ricercata nella contingenza politica. Una linea che mirerà alla destrutturazione della centralità della Dc.
Questo intervento di Giubilo ha il merito di restituire densità storica a una questione che non può essere consegnata alle semplificazioni: la tensione irrisolta – in Italia – tra storia nazionale e coscienza politica. E Baget Bozzo resta figura che obbliga a pensare, anche quando non se ne condivida il tragitto intellettuale, specie in un tempo che esige più meditazione, più dialogo, più serietà e rigore.

