Già pubblicato sulle pagine dell’Huffingtonpost
Il capitolo della classe dirigente, della sua autorevolezza, del suo profilo, della sua competenza e del suo carisma continua ad essere al centro del dibattito politico e culturale nazionale. I detrattori infaticabili ed instancabili della prima repubblica avevano individuato in quella classe dirigente la ragione sociale del decadimento etico e della corruzione della democrazia italiana. Detrattori che dopo anni, con una operazione alquanto squallida nonché ridicola, si esercitano in una operazione di radicale riabilitazione politica, culturale e forse anche etica proprio di quella classe dirigente. Lacrime di coccodrillo che non meritano alcun commento se non quello di prendere atto che questi soloni, peraltro strapagati e milionari, continuano a predicare e a blaterare da vari organi di stampa, nei rinnovati talk show televisivi e da vari pulpiti politici che orientano, per fortuna sempre di meno, la pubblica opinione.
Ma, al di là del giudizio interessato di costoro, è indubbio che soprattutto con l’avvio di questa esperienza di governo, il giudizio sul profilo e sulla statura della classe dirigente politica ha assunto nuovamente una importanza cruciale. Ecco perché, anche alla luce delle precedenti esperienze, e’ forse giunto il momento per fare un po’ di chiarezza.
Innanzitutto una classe dirigente autorevole e competente non è quasi mai il frutto della sola carta di identità. Chi ha provato nel passato Renzi con la sua “rottamazione”. Ma era solo e soltanto un escamotage tattico e furbesco per punire gli avversari interni al partito e premiare chi dimostrava, invece, atti concreti di fedeltà. L’esempio più eclatante? Massimo D’Alema andava silenziato ed escluso mentre Piero Fassino andava premiato e valorizzato. Misteriosa la motivazione politica che stava alle spalle visti l’età, il curriculum e la storia politica di entrambi se non quella, appunto, della fedeltà al “capo”. Altri hanno puntato tutto sulla discontinuita’ e sulla criminalizzazione politica del passato – come i 5 stelle – salvo poi rendersi conto che il deficit di competenza e di autorevolezza della nuova classe dirigente alla prima prova concreta nazionale e’ sotto gli occhi di tutti… Altri ancora ritengono, soprattutto la “sinistra al caviale” e i circoli salottieri e aristocratici degli intramontabili “progressisti” nostrani, che la carta decisiva per qualificare e nobilitare la classe dirigente politica e’ una sola: e cioè, quella che proviene dalla cosiddetta società civile. Un atto, del resto, coerente con quella impostazione elitaria e salottiera e sostanzialmente liquidatoria di tutto ciò che è anche solo lontanamente riconducibile alla politica e ai suoi dinamismi concreti.
Ora, sono almeno 3 le condizioni necessarie per ridare freschezza e competenza, autorevolezza e spessore alla futura classe dirigente politica nel nostro paese. In primo luogo deve nascere dalle battaglie concrete condotte nella società e non deve essere il prodotto aristocratico e salottiero delle solite benedizioni delle classi dominanti. Che, come sempre, sappiamo quali sono e dove sono. In secondo luogo una classe dirigente politica e’ credibile se è stata formata culturalmente alla politica. E, su questo versante, non c’è ancora una concreta alternativa al ruolo decisivo che possono e debbono svolgere i partiti. Quei partiti che, nel momento in cui si sono trasformati in cartelli elettorali o in luoghi dediti al culto e all’esaltazione del capo, si sono ridotti a cassa di risonanza del “guru” di turno con tanti saluti alla credibilità e all’autorevolezza della classe dirigente. In ultimo, una classe dirigente formata e che e’ anche il frutto di battaglie condotte e praticate nel vivo della società, non può non avere forte dimestichezza con la democrazia interna ai partiti. Anche qui, per uscire dagli equivoci, non si tratta di consolidare la guerra per bande organizzate che caratterizza la vita interna, ad esempio, del Partito democratico ma, semmai, di rendersi conto definitivamente che senza un serrato confronto, libero e autenticamente democratico all’interno dei partiti e dei movimenti politici, non potrà mai emergere una classe dirigente altrettanto libera e soprattutto qualificata e realmente rappresentativa.
Ecco, sono queste le tre condizioni basilari necessarie se si vuol cercare di uscire dal pantano in cui siamo precipitati quando si affronta il capitolo della classe dirigente politica italiana. Nessuno pensa, credo, a riportare indietro le lancette della storia ma tutti, credo, si rendono conto che senza una decisa sterzata si corre il serio rischio di aggravare ulteriormente la situazione premiando persone e stili radicalmente estranei e esterni al vero obiettivo che molti auspicano. E cioè, la possibilità di riavere nuovamente una classe dirigente politica di cui nessuno debba vergognarsi o rassegnarsi a rimpiangere il passato della prima repubblica per provare un po di d’orgoglio e per assaporare una lontana ed ormai improponibile ed irrealizzabile autorevolezza e competenza.