Preambolo e Ulivo, momenti di grande politica. Oggi invece…le piroette di Renzi.

Bisogna invertire questa deriva fatta solo di tatticismo, di opportunismo, di trasformismo e di tutto ciò che faceva dire a Martinazzoli che siamo passati dal “tutto è politica al nulla della politica”.

Diciamolo subito per evitare spiacevoli equivoci. Non si può confondere il sacro con il profano. Ovvero, l’intera stagione politica della prima repubblica e l’inizio della cosiddetta seconda repubblica con il nulla che caratterizza l’attuale geografia politica italiana. Del resto, è appena sufficiente indagare su come decollavano i progetti politici nel passato e confrontarli con quelli di oggi per rendersi conto del profondo e quasi antropologico cambiamento intervenuto. Un cambiamento non solo nel metodo – il che è già decisivo per la credibilità stessa di una politica democratica e partecipativa – ma soprattutto nel merito. E, tra i molti passaggi decisivi che hanno accompagnato e caratterizzato la prima e la seconda repubblica, possiamo citarne due, forse tra i più importanti ai fini della svolta politica impressa al paese. Il cosiddetto “preambolo” scritto e pianificato dal leader della sinistra sociale della Dc Carlo Donat-Cattin al congresso del partito nel febbraio del 1980 che bloccava “allo stato dei fatti ogni accordo di governo con il Pci” e il decollo dell’Ulivo in vista delle elezioni politiche del 1996 che faceva partire la nuova stagione di un rinnovato e qualificato centro sinistra di governo. Due momenti, due progetti politici, due visioni della società che sono stati preceduti da un fortissimo e qualificato dibattito politico e culturale, da un confronto – anche duro e spietato – sui contenuti e sugli elementi decisivi che dovevano declinare una nuova cultura di governo. L’uno, tutto ancora incardinato all’interno del sistema dei partiti e delle correnti democristiane ma che investiva il futuro e la prospettiva della intera politica italiana e l’altro, già frutto dell’impianto maggioritario e bipolare, che doveva dar vita ad una vera e

propria democrazia dell’alternanza.

Ecco, in entrambi i casi era la politica a prevalere. Erano i contenuti ad avere la meglio perché in gioco, infatti, c’era quello che Pietro Scoppola definitiva “un progetto di società”. Al di là, come ovvio e scontato, della profonda differenza tra i due progetti collocati in contesti storici ormai

lontani l’uno dall’altro. Ovvero, la politica vissuta all’insegna della progettualità, della cultura, della visione di futuro e, soprattutto, dell’autorevolezza della classe dirigente che doveva incardinare e declinare quell’iniziativa politica.

Ora, di grazia, cos’è rimasto di tutto ciò nella politica contemporanea? Per fermarsi alle ultime scintille ferragostane, domina la piroetta di Renzi, capo di Italia Viva, uno dei tanti partiti personali – seppur di piccole dimensioni – che ha rinnegato tutto ciò che ha detto, scritto, teorizzato e urlato in questi ultimi due anni per approdare nel cartello delle sinistre, cioè il futuro “Fronte popolare” composto dalla sinistra radicale della Schlein, da quella fondamentalista del trio Fratoianni/Bonelli/Salis e dai populisti dei 5 stelle. Una piroetta che nasce da una intervista personale ad un quotidiano, che innesca un dibattito – prevalentemente di natura tattica, opportunistica e trasformistica – che prescinde radicalmente da qualsiasi contenuto e che può, com’è altrettanto ovvio, essere modificato o rinnegato o confermato con una successiva piroetta.

Ecco perché, quando si parla di credibilità della politica, di autorevolezza della classe dirigente e di serietà degli stessi progetti politici dei partiti – o di ciò che è rimasto di loro – non possiamo non fare dei semplici e anche banali confronti con il passato. E non solo con la prima repubblica, quando la politica era protagonista e decisiva ai fini del governo della società, ma anche con l’inizio della seconda repubblica prima dell’avvento del populismo anti politico, demagogico e qualunquista. Cioè prima dell’affermazione del partito di Grillo e di Conte e della Lega salviniana.

Adesso non ci resta che attrezzarsi per invertire lentamente questa deriva fatta solo di tatticismo, di opportunismo, di trasformismo e di tutto ciò che faceva dire all’indimenticabile Martinazzoli che siamo passati dal “tutto è politica al nulla della politica”. Questa è, oggi, la vera sfida e scommessa per rilanciare la qualità della democrazia da un lato e la credibilità della politica e di chi la interpreta dall’altro.