Ogni votazione è un grande esercizio di democrazia. Il 26 maggio scorso oltre 400.000.000 di cittadini in 28 Stati europei hanno eletto il Parlamento europeo. Ma in ogni Paese gli elettori si sono sorbiti una campagna elettorale più concentrata sulla politica interna che sui problemi importanti e urgenti della Unione.

Si è consentita una campagna elettorale di sfida fra i soci del contratto di governo invece di incalzarli sul “cambiamento“. In realtà tutte le forze politiche, anche le più europeiste, si sono dichiarate favorevoli ad una Europa diversa. Come? Tranne i candidati più esperti, i leader dei partiti non si sono espressi sui fondamenti del necessario rinnovamento dell’Unione Europea.

Siamo lontani dal Trattato di Roma del 1958, come dall’Europa pensata a Maastricht e da una concezione dei confini e dei dazi dopo Schengen. C’è Trump che vagheggia una Europa indebolita (leggi visita in Gran Bretagna) e Putin che non vorrebbe la potenza più grande economicamente ai suoi confini. Le merci – e le persone – sono globalizzate veramente e varcano ogni confine. Tocca perciò alle classi dirigenti europee – mi verrebbe da dire soprattutto alle ‘sovraniste’ – costruire un sovranità europea: un fisco uguale (perché non ci siano paradisi fiscali anche nel nostro continente), un esercito comune e quindi una politica estera e di difesa comuni, un sistema bancario veramente europeo. Il Trattato di Lisbona è attuale e utile? Perché non sono stati questi i temi della campagna elettorale europea? Forse i leader non conoscono i dossier. In realtà molti obiettivi di politica interna avrebbero trovato un quadro di riferimento e di potenziamento, per esempio, sul salario minimo, sull’energia, ecc.

Personalmente avevo suggerito candidati esperti e con una qualche legislatura alle spalle, perché voglio contare – sperare!- che mettano la loro competenza al servizio del cambiamento. Per questo sono contraria al limite dei mandati, perché alterano il rapporto con gli elettori. Trattandosi di scelte, in un sistema democratico, non si può sottrarre ai cittadini la volontà di valorizzare – come di censurare- gli eletti. Gli eletti devono far contare di più, a Bruxelles, il Parlamento e la Commissione (è, anch’essa, espressione degli eletti) e ridurre il potere del Consiglio dei capi di Stato e di Governo che fanno valere, coi loro veti incrociati, le politiche nazionalistiche invece che comunitarie. Perché non si è fatto sapere in campagna elettorale se si è favorevoli a far cadere la regola del veto? Comunque, occorre leggere attentamente i risultati registrati.

Mi sembra che, tranne i politologi e i sociologi dei dati, i partiti di opposizione stanno ancora dando sulla voce dei due vicepresidenti del consiglio, piuttosto di cambiare registro e ripetere, ripetere e ripetere la propria visione del futuro, quali le scelte, gli strumenti e i finanziamenti per realizzarle. Chi stava con la gente non aveva bisogno di sondaggi per sapere come sarebbe andata. E vale la pena notare che gli elettori sanno votare… si osservino le differenze dei risultati fra quelli delle elezioni amministrative rispetto a quelli delle europee (per imparare la lezione, il PD aveva già i precedenti di Ancona e di Brescia prima di Firenze e Bergamo). La campagna elettorale mi ha portato a riflettere su tre piani, di metodo, di contenuti e di strumenti. Abbiamo un sistema che ondeggia fra bipolarismo e tripolarismo a causa di una legge elettorale finalizzata alle coalizioni. Sono convinta che la architettura elettorale non sostituisce la politica ma certo può condizionarla. Se si vuole sapere a conclusione dello spoglio delle schede chi governerà serve una diversa legge elettorale, marcatamente maggioritaria.

Inoltre se i Partiti, come indica la Costituzione (art. 49), devono “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” devono mantenere una necessaria dialettica rispetto al Governo. La coincidenza del vertice di partito con quelli di governo appiattisce il lavoro di acculturazione ‘partitica’ dell’elettorato, e interrompe la dialettica necessaria con i corpi sociali intermedi. Altrimenti il Governo fa continuamene campagna elettorale e le opposizioni sono schiacciate sul governo. Un conto è il programma di partito, altro quello di governo, sul quale si forma la maggioranza. Diversamente, si altera anche l’ordinato funzionamento delle istituzioni. Si pensi al Primo Ministro che ha nel governo i capi partito: come potrebbe togliere deleghe a un Ministro che non rispetta competenze e funzioni, ed anzi si comporta in modo da sostituirlo? Si tende a copiare sistemi bipartitici anglosassoni lontani dalla nostra tradizione.

E la somma degli incarichi diminuisce la platea delle persone che diffondono e divulgano informazioni, competenza e testimonianze. Il rapporto e il raccordo coi cittadini prevede molta presenza tra e con gli elettori. La Rete amplia e arricchisce i contatti perché raggiunge i cittadini più attenti, ma non può supplire i contatti esperienziali. Gli elettori il 26 maggio hanno lanciato le loro grida di aiuto. Non si può nè governare il Paese nè guidare un partito senza conoscere i dati. L’ISTAT dal 2017 ha fatto conoscere una condizione di disagio generale francamente inaccettabile. La globalizzazione per gli incapienti ha portato esclusione dal lavoro; il 70% delle famiglie non riesce a risparmiare e circa il 42% non riesce ad affrontare una spesa imprevista.

Anche se non è vero che la immigrazione sottrae lavoro e aumenta la criminalità, il politico deve farsi carico di quale è il sentimento del popolo e, soprattutto, attuare scelte che leniscano un grave scontento, che non è ideologico. I dati statistici sono molto molto preoccupanti e invito a verificarli. Sono vuote le culle? Quali le proposte a favore delle famiglie? Asili nido generalizzati, a tariffe coerenti con gli stipendi e gli orari di lavoro dei genitori. La scuola aperta alla comunità, tempo pieno generalizzato per consentire il lavoro dei genitori, ecc. Urgono le risposte perché serve comunque tempo per vedere i primi risultati. Conosciamo l’angoscia delle famiglie in cui appare il drammatico dilemma “dove mettere” una persona avanti nell’età (genitore o parente) e bisognosa di assistenza continua che non ha nessuno cui affidarsi? Il lavoro: primo e fondamentale diritto. Sta cambiando radicalmente e non è del tutto vero che ogni posto liberato con quota 100 sia occupato da un giovane. Urge prepararli a nuovi lavori. E la quota 100? Approvata senza alcun criterio di gradualità ha consentito a decine di migliaia di medici di uscire dal sistema e saranno i più poveri a rimanere senza assistenza sanitaria… per preparare i medici ci vogliono oltre 10 anni!

Ma la riflessione riguarda tutti i dipendenti pubblici! Abbassare le tasse: a chi? I dati del Ministero delle Finanze combinati con quelli della Agenzia delle Entrate raccontano: su 60 milioni di Italiani pagano le tasse poco più di 5 milioni (con redditi da 30.000 euro in su, il 12,8%). Le pagano tutti i redditi fissi e i pensionati. Il 49% non paga tasse. La vera rivoluzione sociale è combattere evasione ed elusione. Si tratta di furto ai poveri e allo Stato. I contribuenti leali finanziano la sanità, la scuola, le infrastrutture, le pensioni, ecc. per coloro che ne usufruiscono e che lavorano in nero e danneggiano le imprese e i cittadini che sono obbligati a pagare di più. Evasione e lavoro nero andrebbero chiamati col loro nome, ‘peccati sociali’.

Ci attende un gravoso e affascinante compito – per tutti, politici e cittadini – di “prendersi cura della Repubblica” (Mattarella), che è anche prendersi cura dell’Europa. Deve essere rifondata e rinnovata con lo spirito e il sogno dei fondatori. Per ora valgono le regole vigenti; è come un condominio nel quale tutti i condomini, anche controvoglia, devono rispettare il regolamento condominiale.

La polemica eccessiva contro il controllo da parte della Commissione sul nostro bilancio e l’irrisione dello spread lanciano messaggi sbagliati ai cittadini perché sono loro a subire i danni di un condominio ‘disastrato’. Sia il politichese che il linguaggio da bar non aiutano le persone a comprendere, quindi a sapere, per poi giudicare. Lo spread in Francia è intorno al 40% e il debito è molto inferiore a quello italiano, per cui non possiamo paragonarci ai Francesi, mentre forse sarebbe vantaggioso allearci con loro, per cambiare le regole. Sarebbero i nostri alleati naturali, ma i governanti italiani contestano Macron e si alleano con i gilet gialli! Più conoscenza della nostra storia comune ci aiuterebbe a slanci di orgoglio e di attivo civismo.