La ragione come ogni concetto del linguaggio e della cultura segue vie complesse e anche contorte e può essere adattata a molti usi; ma il suo scopo è di essere una guida per aprire nuove possibilità alla vita sociale senza frantumare la società.
Tiziano Bonazzi
Putin, purtroppo per noi, combatte una molto pericolosa battaglia di retroguardia che ci costringe a distogliere lo sguardo da altre in cui sarebbe più utile essere coinvolti. È una battaglia per l’eterna anima russa, legata a difendere la grandezza imperiale e spirituale della patria, la sua unità attorno alla Chiesa ortodossa e a un capo. Pare di leggere, con le dovute, profonde differenze storiche e intellettuali, le Considerazioni di un impolitico di Thomas Mann apparso nel 1918 e scritto negli anni immediatamente precedenti. Anche allora vi era una guerra, la Grande guerra, e Mann si poneva a difensore del nazionalismo contro l’universalismo illuminista e sosteneva l’assoluta superiorità della Kultur tedesca, spirituale, pura, una e imperiale, sulla Zivilisation britannica e francese, tutta tecnica e dibattito, materialista e distruttrice dell’anima dei popoli. Mann, però, era un grande ed ebbe il coraggio di diventare antinazista. A livello non di intellettuali, ma di popolo, abbiamo il caso dei sudisti statunitensi che per quanto in maggioranza non possedessero schiavi combatterono furiosamente contro il Nord per difendere “il focolare e la famiglia”, il loro tradizionale modo di vita identificato con la propria comunità prima che con la Confederazione. Un modo di vita fondato su un rapporto personale con Cristo, sul duro lavoro contadino in cui non esistono dubbi, sulla comunità locale piena di conflitti, ma sicura fonte di identificazione, e sulla schiavitù. La schiavitù di chi non ha schiavi, ma la considera parte dell’ordine delle cose, non disturbante, bensì rassicurante. Tutto il contrario dei bottegai del Nord, moralisti senza morale, attaccati al denaro invece che ai valori, all’individuo invece che alla comunità. Casi diversi, ma uniti contro qualcosa che potremmo chiamare modernità o, se vogliamo volare alto, Illuminismo.
L’Illuminismo è stato attaccato, decostruito dalle migliori menti del Novecento; ma è contro di lui, contro quello che ha significato dal Settecento fino a oggi, che si scaglia la madre Russia di Putin e dei tanti russi che lo seguono. È vero, preferiremmo continuare a discutere della critica all’Illuminismo ricordando che, nel nome del progresso e dell’individualismo, ha nutrito le tante nefandezze dell’espansione euroamericana nel mondo e le storiche diseguaglianze intrinseche alle società moderne. Però suo merito è avere individuato e promosso i diritti individuali, la democrazia, la fine dell’unione fra trono e altare e di quella fra altare e società, ed è proprio contro i principi usciti dal pensiero illuminista e contro la modernità che si sono battuti i reazionari di ogni genere fin dai tempi della Rivoluzione francese e di Joseph De Maistre, per il quale l’uomo a causa della sua debolezza e del peccato non può autogovernarsi e ha bisogno della verità della Chiesa e dell’obbedienza a un re legittimo. La guerra in Ucraina potremmo dire che ci riporta a combattere battaglie intellettuali che vorremmo considerare terminate; ma che terminate non sono perché l’idea di un ordine eterno nel quale vivere senza dubbi e patemi d’animo, un freno luminoso al turbine delle passioni e dei desideri, si manifesta sempre.
Putin combatte la civiltà illuminista sul piano della guerra vera e della geopolitica, cose su cui lascio la parola agli specialisti. Io mi limito a notare che c’è un parallelo anche fra le ragioni con cui Putin ha giustificato l’aggressione all’Ucraina e le guerre culturali scatenate dai neoconservatori e dalle chiese evangeliche negli Stati Uniti a partire dagli anni Ottanta del Novecento nel nome dell’ordine delle cose, dell’identità e della tradizione morale cristiana, di un’articolazione sociale in cui esistono limiti e gerarchie obiettive pur mitigate dalla democrazia. Un parallelo che può sembrare blasfemo vista la fede democratica e l’occidentalismo dei neoconservatori; ma che non lo è in prospettiva storica. Si tratta, infatti, di un parallelo che ci rimanda a uno scontro che si inasprisce man mano che le società occidentali diventano più articolate e flessibili e sorgono, in conseguenza, comportamenti incompatibili con la democrazia otto-novecentesca, quella considerata naturale prima della tempesta degli anni Sessanta – gli anni delle tante rivolte di gruppi che individuavano vie di libertà proprie e alternative.
Tiziano Bonazzi, Professore emerito di Storia Americana – Università di Bologna
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