Qualche annotazione sull’omelia dell’Arcivesco di Milano Delpini alle esequie di Berlusconi

Anche il politico più grande resta un uomo, semplicemente. Comunque, grazie a Berlusconi, ci siamo adagiati su un sogno che non era il nostro e nel dormiveglia sono passati i decenni.

Prepare l’omelia per le esequie di Berlusconi non deve essere stato un compito facile per l’Arcivescovo Delpini. ma Egli lo ha degnamente assolto in quanto ci ha ricordato che in Chiesa, l’uomo di Stato – il politico – che ci ha cambiato i costumi morali forse per sempre, è e resta solo un uomo con il suo percorso di vita. 

E questo bagno di realtà, e insieme di umiltà, ci fa bene a tutti, mentre facili facili i primi di noi erano già saliti all’altare della gloria “degli eroi della Patria” con una sorta di santificazione laica quando nella concretezza delle cose, come nella vita di tutti, per Berlusconi ci sono luci ed ombre. Ma si sa che male antico degli italiani è quello di apprestarsi veloci a soccorrere il vincitore, come notava con arguzia senza fine Flaiano. E qui si giocava anche la partita di essere nella prima fila di quelli che contano nel Paese  e non temono di essere dimenticati.

Che Berlusconi amasse la vita e il vivere bene non vi è alcun dubbio. La fatica fatta fin dall’inizio per lo studio e per ingrandire l’impresa del padre partono dal lodevole desiderio di riscatto da una condizione di vita che non soddisfaceva più e da una ricerca di collocazione in settori della vita della Milano bene, raggiungibili solo con duro lavoro, ambizione e portafoglio ben gonfio. 

Invero però la Milano bene questo milanese non lo ha mai accolto del tutto, lo ha sopportato per la verità, tollerato per i modi da “gaffeur” di provincia. Le delusioni della vita di Berlusconi nell’omelia di Delpini non ci sono, gentile e cortese dimenticanza in onore del defunto, ma è giusto dire che ci avrebbero aiutato a ricordare come la misura della felicità ha il suo controaltare nella tristezza delle prove della vita. 

Quanto all’essere amato ed amare, il ritratto di Berlusconi sconfina nello “sciocco benefattore” di ogni passibile miseria incontrata, assolvendo se stesso e gli altri (anche dall’amarlo, s’intende) per la forza vitale che spinge a andare avanti senza valutare le conseguenze delle proprie azioni e soprattuto senza voltarsi mai indietro. Contrariamente a quanto lo esorta Delpini, Berlusconi nella sua vita non ha mostrato di trovare in Dio il suo giudice e né di rimettersi al giudizio della Chiesa e della comunità dei cattolici per le molte vite sovraposte che si è creato. Di buono c’è che non ha mai detto “imitatemi”, ma sottilmente ha detto che se c’ha fatta lui allora “potete farcela anche voi” (i signori nessuno che noi tutti siamo). E un po’ troppi uomini, del resto, hanno pensato che il gaudente saltar di fiore in fiore coincidesse con l’amore fedele. Ci siamo adagiati su un sogno che non era il nostro e nella malia del dormiveglia sono passati i decenni. 

Certo un uomo ama vivere, essere amato, quindi amare e gioire, ma chi è costui senza il dolore della fatica stessa di vivere? C’è un punto che nell’omelia di Delpini che mal si combina con le encicliche di Papa Francesco sullo sviluppo econonico solidale e inclusivo: è quel tipo di “uomo d’affari che deve fare affari” che sembra involontariamente dare una benedizione al modello del liberalismo più sfrenato e che ha prodotto quella recessione in cui siamo tutti. Ecco, forse qui una riflessione su un modello di capitalismo che non è inclusivo (se non formalmente) avrebbe dovuto riguardare lo stesso Berlusconi. Questo figlio della Chiesa è stato un esempio non di liberalismo “ben temperato”, ma di liberlismo sfrenato ed ingordo, e pur nella carità cristiana e nella generosità dell’animo di fronte alla morte, dovremmo non dimenticare quanto sia distante da Papa Francesco. 

Poi sull’incontro con Dio nulla può essere detto e lo affidiamo com’è giusto alla fede di ognuno di noi, non dimentichi della nostra fragilità di creature.