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giovedì, Marzo 6, 2025
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Quale pace se non c’è realismo?

Non bisogna ridurre la ricerca della pace a un semplice esercizio di retorica astratta e opportunista. Serietà vuole che si antepongano gli interessi nazionali ed europei alle sterili e tristi convenienze di parte.

Ci troviamo di fronte a un momento cruciale nel panorama internazionale. Molti equilibri sono stati compromessi, dando vita a un contesto che ha profondamente destabilizzato l’antico assetto geopolitico mondiale. I vari summit che si stanno svolgendo in questi giorni a livello europeo confermano un quadro che resta sostanzialmente instabile, incerto e poco definito. La questione centrale, e forse determinante, è quella di promuovere un’iniziativa politica che unisca la cultura della pace a uno spirito di realismo. È fondamentale, infatti, che questi due aspetti siano indissolubilmente legati, evitando di rifugiarsi nell’improvvisazione, nel velleitarismo e in un infantilismo politico. In questo contesto, le pur generose posizioni europeiste di alcune forze politiche italiane risultano spesso sterili e impotenti, se non addirittura ambivalenti.

Un esempio concreto: non si può parlare del futuro dell’Europa, del rilancio politico e culturale del nostro continente, della necessità di una difesa comune e di un progetto federale unito, per poi respingere qualsiasi proposta di spesa per gli armamenti o il potenziamento delle nostre frontiere e delle missioni militari. Fintantoché non si raggiunge una maggiore chiarezza e coerenza su questi temi, risulta vana qualsiasi predica di unità e di rilancio dell’Europa. Questa è, purtroppo, una delle debolezze presenti nel dibattito attuale.

Detto ciò, la mobilitazione per difendere, rilanciare e progettare il futuro dell’Europa è di fondamentale importanza. Essa rappresenta la riscoperta di un antico postulato della cultura e dell’identità della tradizione democratica e cristiana, che su questo fronte può rivendicare un legittimo primato. Tuttavia, per tornare alla questione della cultura della pace e alla riscoperta di un autentico ideale europeista, è oggi cruciale collegare questo afflato ideale alla cultura del realismo — talvolta definita realpolitik — ma che, in termini più appropriati, potrebbe essere vista come mera “cultura di governo”.

È su questo terreno che si misura la capacità di non ridurre la ricerca della pace a un semplice esercizio di retorica astratta e opportunista. Inoltre, si tratta della capacità di rilanciare l’antica e necessaria cultura europeista. Saranno le prossime iniziative di piazza a indicarci, in modo concreto, come e chi in Italia intende costruire una nuova soggettività europea, capace di tradurre in prassi una vera e credibile cultura della pace. È evidente che, in questo contesto, non ci si può aspettare che soggetti come la Lega di Salvini, gli estremisti di Fratoianni e Bonelli, o il populismo dei 5 Stelle di Conte si dimostrino i più credibili e coerenti nel perseguire un obiettivo così indispensabile per affrontare le sfide della società contemporanea.

In questo frangente, sembra avere un vantaggio chi, storicamente, ha coltivato una cultura di governo e chi, in fasi delicate come questa, sa anteporre gli interessi nazionali ed europei alle sterili e tristi convenienze di parte.