Nel Paese qualcuno parla sottovoce di “fase due”, e cioè di avvio di ripresa. Ancor più timidamente qualcuno esprime sommesse critiche alla gestione della crisi interamente affidata ai virologi, senza coinvolgere anche medici igienisti, specialisti della medicina degli ambienti di lavoro, della vita collettiva, della scuola. Ancor più sommessamente si fanno analisi statistiche, per distinguere, ad esempio, tra il tasso di letalità (morti per numero di malati specifici) e il tasso di mortalità (morti sul totale della popolazione), o per valutare il numero dei contagiati nella popolazione, o altro. E ancor meno si ragiona sul serio fra le diverse strategie operative di due Regioni contigue – la Lombardia e il Veneto – dove la seconda con una più tempestiva azione di analisi dei territori e degli ambienti ha di fatto arginato e limitato drasticamente la contagiosità e la diffusione della pandemia. Forse perché sono due Regioni a guida leghista e nessuno vuole dire che anche importanti amministratori leghisti possono sbagliare in modo rilevante?
Questa assenza di confronto civile e politico dovrebbe far comprendere la gravità della nostra situazione e spingere le istituzioni, tutte le istituzioni ad un impegno più intenso, avvalendosi anche di competenze tecniche, ma certo non delegando a queste le risposte che i cittadini attendono.

Dopo quasi 12 anni di crescita debolissima il nostro Paese ha avuto un colpo che potrebbe rivelarsi davvero pericoloso per la nostra società e la nostra economia. Tra le macerie materiali e sociali De Gasperi ebbe la precisa idea politica di appellarsi anzitutto ai cittadini, al loro spirito di iniziativa, alla loro speranza individuale, per suscitare quell’indispensabile moto di speranza e di iniziativa collettiva che fu il vero motore della ricostruzione. Non si trattava di un appello retorico, ma di un investimento di fiducia nel Paese stesso, nelle sue energie vitali e nella sua genialità. Dunque molta, molta meno burocrazia, più fiducia nella capacità dei singoli di risollevarsi, più sostegni dello Stato all’iniziativa dei singoli (intesi come imprese e come comunità di persone). Aldo Moro spesso ammoniva sul fatto che lo sviluppo economico non si potesse favorire con i soli strumenti dell’economia.

Bisogna dunque credere fortemente nella tenuta e nella crescita democratica del paese e delle sue istituzioni democratiche. Per questo il Parlamento, come la assemblee regionali e comunali, dovrebbero subito riaccendersi e prendere la responsabilità di confrontarsi, di convergere e di indicare le diverse rotte da seguire, a livello generale e nei singoli territori. Guai a pensare di delegare ai tecnici quelle che devono invece essere risposte e obiettivi politici.
Non serve solo un elenco di cose da fare, ma precisi progetti, priorità e capacità di attuarli. Per definire questo occorre una forte convergenza politica, una fase di collaborazione intensa nella quale le forze politiche dovrebbero mettere da parte ogni animosità e propaganda, per esprimere invece il meglio di se stesse.

Credo però che si debba anche avere, come De Gasperi e Moro, una chiara visione della società nel suo insieme, della sua capacità di riprendersi soprattutto con il risveglio delle proprie intime energie. Occorrono oggi molte energie, anche nuove energie motivate per rianimare rapidamente un Paese notevolmente invecchiato e provato. E dove reperirle se non richiamando in Italia dall’estero – con un vero appello nazionale e imponenti misure di agevolazione al rientro – migliaia e migliaia di ex giovani italiani, per impegnarli non solo nella ricerca, ma anche nella piccola e grande impresa, nelle pubbliche amministrazioni, nella vita professionale e civile. Chi è stato 10-15 anni fuori porta esperienza e competenza concreta. Ha idee ed energie per cambiare subito, per dare attuazione a molte nostre riforme sociali rimaste inerti nelle loro parti più innovative. Sarebbe anche una potente iniezione di fiducia e di coesione sociale. Fattori assai più importanti di nuove altre leggi e/o regole.

Analogamente sarebbe finalmente urgente una forte politica per la vitalità familiare, ma anche una rinascita di molte comunità locali e villaggi attraverso una intelligente gestione dei flussi di immigrazione. Senza energie fresche è davvero difficile rianimare un corpo anchilosato, impaurito e provato.
Dobbiamo sempre ancorarci alla nostre forte e incisiva Costituzione, per proseguire nel cammino democratico di una sua piena attuazione. Il ruolo dei cittadini e delle loro formazioni sociali sono le fondamenta più solide e radicate della nostra originale democrazia, del nostro assetto pluralista di autonomie sociali e locali.

In questo quadro si potrebbe anche valorizzare l’impegno del Cnel sulla scia di quanto preannunciato nei giorni scorsi dal suo Presidente, Tiziano Treu. Non si tratta certo di fare elenchi di proposte, o di riunire gruppi di studio. Negli ultimi 25 anni di difficoltà politiche nel nostro Paese è stato già detto e proposto tutto. La sfida vera perciò non è quella di pensare al Cnel come ad un centro studi, ad un laboratorio di esperti solo più rilevante perché espressi dalle categorie economiche e sociali. Tutto questo serve, ma ciò che serve ancor di più è rilanciare un ampio processo politico e istituzionale, all’interno del quale il Cnel possa esprimere la sua capacità di accompagnare, implementare, affinare, monitorare, verificare i processi di riforma e di cambiamento concreto. Occorrerebbe che le forze politiche condividessero rapidamente – e con metodo democratico – alcune priorità, le confrontassero con le forze sociali organizzate, e poi affidassero al Cnel il compito di aiutare la comprensione, la declinazione di queste misure nei diversi territori, nelle diverse pieghe della società, riportando costantemente al Governo e al Parlamento i suggerimenti e le proposte per migliorane e accelerarne l’efficacia.

Già negli anni novanta il Cnel si era mobilitato in queste reti di relazioni con i diversi territori, con tanti ambiti e gruppi sociali ai margini perché esclusi dalla rappresentanza organizzata. Aveva dimostrato una tale efficacia da spingere una politica allora, ancora molto ideologizzata, a progettare di cancellare il Cnel stesso perché in fondo svolgeva funzioni istituzionali che la stessa politica indebolita e impoverita non riusciva più ad assicurare dopo la morte dei partiti.

Il Cnel è parte della governance democratica pensata e voluta dai costituenti. Se ne può però richiamare una efficace funzionalità solo in una quadro complessivo di rilancio della iniziativa di tutte le Istituzioni della Repubblica. Per fare questo occorre davvero un nuovo e intenso spirito unitario di ripartenza e di speranza, per una nuova stagione di crescita sociale e civile.