Quale spazio oggi per il cattolicesimo politico e sociale?

La soluzione migliore resta sempre quella di un luogo politico autonomo, politicamente e culturalmente identitario, seppure laico nella sua declinazione concreta. Ma questa è una soluzione per adesso impraticabile.

C’è una domanda centrale a cui, prima o poi, occorrerà pur dare una risposta convincente e il più possibile coerente. Ovvero, molti osservatori – e gli stessi detrattori – sottolineano la necessità di rilanciare, riscoprire e riattualizzare la cultura e il patrimonio del cattolicesimo popolare e sociale nella cittadella politica italiana. Ma, al contempo, emerge la cronica difficoltà di dove collocare concretamente e realisticamente questa cultura nell’attuale geografia politica del nostro paese. Ed è proprio di fronte a questa difficoltà che emergono le risposte più strampalate ed anacronistiche.

Ora, senza avere la presunzione di delineare un unico percorso di coerenza e di lungimiranza – atteggiamento che appartiene ai moralisti di professione e agli integralisti incalliti – è abbastanza evidente che questa cultura politica non è funzionale e pertinente con tutti i partiti. Per fare due

soli esempi, e del tutto macroscopici, il cattolicesimo popolare e sociale è antropologicamente alternativo rispetto al populismo anti politico e demagogico dei 5 Stelle come al sovranismo anti europeista e volgarmente clericale della Lega salviniana. 

Ma, al di là di questi due estremi, è anche abbastanza chiaro che si tratta di una cultura che difficilmente può convivere – semprechè non si riduca ad un banale mobilio di casa da ricordare negli anniversari – con partiti e movimenti che perseguono un progetto politico e che hanno una ragione sociale alternativi rispetto al filone di pensiero del cattolicesimo popolare e sociale. Al riguardo, e per fare altri esempi molto concreti, cosa centri la destra conservatrice e larvatamente sovranista o la sinistra massimalista e radicale con il pensiero di Sturzo, De Gasperi, Moro, Donat-Cattin, Bodrato e molti altri leader e statisti cattolici popolari e sociali, resta sostanzialmente un mistero. Un mistero politico, come ovvio, e non di fede.

Certo, la soluzione migliore resta sempre quella di un luogo politico autonomo, politicamente e culturalmente identitario, seppure laico nella sua declinazione concreta. Ma questa è una soluzione che, ad oggi, registra purtroppo una impraticabilità di fondo. E la risposta risiede nei mille tentativi, tutti puntualmente falliti a livello elettorale, di dar vita ad una presenza politica ed organizzativa autonoma dei cattolici popolari e sociali nelle varie consultazioni nazionali.

Per questi motivi, e seppur senza avere o distribuire alcuna patente di coerenza o di corsia preferenziale, è altrettanto chiaro che lo spazio concreto che si dischiude per una cultura politica come quella del popolarismo di ispirazione cristiana resta l’area di Centro. Ovvero, quel Centro riformista e plurale, democratico e di governo, dinamico ed innovativo che ha scandito le migliori stagioni di questa storica e qualificata corrente di pensiero. 

Ma questa area politica, se non la si vuole appaltare a chi si candida ad occuparla ma è di fatto estraneo a quella cultura, dipende anche e principalmente dall’iniziativa, dal coraggio e dalla determinazione di chi continua a riconoscersi nel filone del cattolicesimo popolare e sociale del nostro paese. Un coraggio che adesso, come si suol dire, si deve armare di progettualità politica e di coerenza culturale senza inseguire il solo posizionamento tattico e contingente. Solo così sarà possibile salvaguardare e rilanciare una nobile, storica e costituente cultura politica del nostro paese e, al contempo, ridarle coerenza ed incisività nella concreta dialettica politica italiana. 

La stagione della sola testimonianza e del gregariato dei cattolici popolari e sociali sono ormai alle nostre spalle. Il ritorno della politica, e delle sue tradizionali categorie, impone anche ai cattolici popolari, democratici e sociali, un soprassalto di dignità e una nuova consapevolezza per inaugurare, realmente e finalmente, una nuova stagione politica. Senza ulteriori tentennamenti e rinvii.