L’esito del voto di New York da un lato ma, soprattutto, le quasi grottesche reazioni della sinistra italiana dall’altro, hanno riproposto all’attenzione del dibattito politico il capitolo del radicalismo. O meglio, della trasformazione della sinistra italiana da forza riformista, democratica e di governo a cartello elettorale che esalta la vocazione infantile e primigenia della stessa sinistra. E cioè, il massimalismo, il radicalismo, l’estremismo e, purtroppo, anche il populismo. E proprio il commento al voto americano lo ha, nuovamente e persino plasticamente, confermato.
Il “campo largo” come identità radicale
Ora, però, c’è un aspetto che non può e non deve più essere sottaciuto. E cioè, ormai l’impianto e il progetto politico, culturale e programmatico del cosiddetto “campo largo”, o larghissimo che sia, ha una chiara, netta ed inequivocabile impronta radicale. Che alcuni definiscono anche estremista ma, comunque sia, fortemente ideologizzata. Come sia possibile, garantendo e perseguendo questa impostazione, renderla compatibile con una altrettanto credibile cultura di governo è francamente impossibile. E questo per una ragione persin troppo semplice da spiegare. Non è attraverso la deriva estremista e massimalista che si può governare un Paese come l’Italia.
La deriva estremista avvelena la democrazia
Dalla politica estera alle politiche collegate a crescita e sviluppo, fino al nodo cruciale della sicurezza, l’approccio radicale è incompatibile con qualsiasi cultura di governo ed è altrettanto nefasto per la qualità della nostra democrazia. La radicalizzazione del conflitto, la polarizzazione ideologica e la delegittimazione morale del nemico sono gli ingredienti fondamentali della deriva politica nel nostro Paese. E se c’è qualche partito – la Lega nel centrodestra o i 5 Stelle nell’alleanza di sinistra – o addirittura un’intera coalizione come il “campo largo” guidato da Schlein, Conte, Landini, Fratoianni/Bonelli/Salis, con l’appoggio non secondario di ambienti giudiziari e media compiacenti, è naturale che l’imbarbarimento del confronto sia destinato a fare un salto di qualità.
Solo la politica di centro può invertire la rotta
Ecco perché, partendo proprio dal commento al voto americano, l’unica cultura politica capace di mettere in discussione quell’impianto radicale e massimalista è oggi la cosiddetta “politica di centro”. Chi persegue quella via – a cominciare dalla tradizione del cattolicesimo politico e dai partiti che concretamente lavorano per quel progetto, a partire da Azione di Calenda – merita di essere sostenuto. Per la qualità della democrazia e per l’avvenire stesso del nostro sistema politico.

