Quel gesuita euclideo missionario di amicizia. In «Centro di gravità permanente» la storia di Matteo Ricci

A un anno dalla morte, L’Osservatore Romano dedica ampio spazio al ricordo di Franco Battiato. Di seguito proponiamo, per gentile concessione, il testo che il giornale ufficioso della Santa Sede ha pubblicato nell’edizione di ieri 16 maggio. “Il verso di Battiato dedicato ai gesuiti euclidei – scrive l’autore dell’articolo – ci ha permesso di gettare un podi luce su uno degli episodi interculturali significativi della storia dellumanità: lincontro, nel segno del dialogo, della scienza, dellamicizia e della fede tra lumanesimo rinascimentale europeo e la straordinaria dinastia cinese dei Ming”.

Gianni Criveller

«Gesuiti euclidei / Vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori / Della dinastia dei Ming». È uno dei versi più famosi e intriganti di Franco Battiato, scomparso il 18 maggio 2021. Appartiene alla canzone Centro di gravità permanente, uscita nel settembre 1981, inclusa nell’album La voce del padrone. Ebbe un successo enorme e vendette più di un milione di copie. Citando i gesuiti euclidei, Battiato mostra la vastità della sua cultura e la molteplicità delle sue ispirazioni. Il riferimento è ovviamente a Matteo Ricci, gesuita, umanista, scienziato e soprattutto missionario, nato a Macerata nel 1552. Tra il 1583 e il 1610, fondò cinque comunità cristiane in importanti città della Cina. È il padre del cattolicesimo cinese, e molto si è scritto su di lui; ma quando Battiato compose la sua canzone, Ricci e la sua impresa erano assai meno conosciuti di adesso.

Matteo Ricci arrivò a Macao nel 1582 e l’anno seguente, con Michele Ruggieri, fondò la prima presenza gesuitica in Cina continentale. Si stabilirono a Zhaoqing, lungo il fiume delle Perle, non lontano da Guangzhou (Canton). Per essere accettati dal Governatore provinciale Wang Pan, e su indicazione del loro superiore, il “Visitatore” Alessandro Valignano, i due missionari si rasero barba e capelli e si vestirono come dei monaci buddhisti (ovvero bonzi), indossando la lunga veste arancione. Abitarono presso una pagoda, e si fecero chiamare «monaci dall’ovest», una definizione dalla forte connotazione buddhista (una religione che, per i cinesi, proveniva dall’ovest, ovvero dall’India). Questa strategia missionaria passerà alla storia come «metodo dell’accomodamento».

Ricci, Ruggieri e i pochi compagni che via via li raggiungevano, riuscirono a convertire alcune persone, ma la gran parte del popolo pensava che quegli stranieri fossero davvero buddhisti. Ricci se ne rese conto, e non ne era affatto contento. Ruggieri, a cui questa strategia invece andava bene, tornò in Italia per organizzare un’ambasceria a Pechino, che non poté essere realizzata. Con il consenso del Visitatore Valignano, Ricci cambiò strategia missionaria. Nel 1595, dopo anni di accomodamento buddhista, Ricci si lasciò crescere barba e cappelli e decise di vestirsi con la lunga tonaca del letterato confuciano e adottando il loro tipico copricapo. E così è ritratto nel famoso dipinto che si conserva presso la chiesa del Gesù a Roma. Nei suoi anni in Cina, Ricci aveva assorbito la cultura e studiato i testi confuciani (che tradusse in latino), e dunque si era guadagnato il diritto di essere considerato un letterato. Ricci riteneva che la filosofia confuciana fosse propedeutica al cristianesimo e con esso compatibile. Nello stesso 1595 Ricci pubblicò Dell’amicizia, il suo primo scritto in lingua cinese. L’amicizia fu dunque il manifesto missionario e lo stile di vita di Ricci tra il popolo cinese.

Entriamo nello specifico del verso di Battiato: l’episodio a cui si riferisce accadde tra il 25 e 27 gennaio 1601. Matteo Ricci, dopo difficili disavventure che non possiamo qui raccontare, fu finalmente ammesso alla Città proibita, ovvero la corte imperiale a Pechino. L’imperatore della dinastia dei Ming si chiamava Wanli. Ricci era in compagnia del missionario spagnolo Diego De Pantoja e di due coadiutori gesuiti di origine cinese Zhong Mingren e You Wenhui (conosciuti nelle fonti occidentali con nomi portoghesi Sebastião Fernandez e Manuel Pereira). È chiaro dunque che, a differenza di quanto si afferma nella canzone, Ricci e compagni non erano vestiti da bonzi ma da letterati confuciani.

I missionari si inchinarono davanti al trono… vuoto, in quanto l’imperatore non riceveva di persona nessuno, neanche i suoi ministri. Da perfetto taoista, Wanli governava attraverso l’assenza e il non-governo. La filosofia taoista insegna infatti che, grazie al non-agire, tutto funziona meglio, perché ogni cosa segue la propria energia interiore.

Le fonti gesuitiche ci dicono però che Wanli era curioso di vedere per la prima volta degli stranieri in vita sua. Si nascose dietro una tendina e da lì li sbirciava. I gesuiti portarono all’imperatore sedici doni, tra cui la mappa del mondo di Ortelius e due orologi, uno grande e uno piccolo, che per funzionare richiedevano manutenzione. Un piccolo stratagemma con il quale speravano di poter tornare a corte e stabilire contatti permanenti e un’influenza in quell’ambiente. E visto che parliamo di musica e canzoni, in quell’occasione Ricci donò all’imperatore anche un clavicordio, strumento musicale a corde dotato di tastiera. Il missionario fu richiesto di insegnare a suonarlo agli eunuchi di corte. Per questo motivo compose le Otto canzoni che gli permisero tornare regolarmente alla Città proibita.

La missione di Ricci può essere interpretata come un viaggio, ovvero un’ascesa a Pechino, sede dell’imperatore. Raggiungere il centro dell’impero era il suo obiettivo. Voleva ottenere dall’imperatore il riconoscimento della libertà d’evangelizzazione e, dal centro dell’impero, avviare un’opera missionaria diffusa su tutta la nazione. Pechino era intesa dai gesuiti come una nuova Roma, da cui poteva partire una grande opera missionaria. La conversione dell’imperatore era, a quel tempo, un obiettivo fuori portata, ma lo diverrà in seguito. La Cina del tempo era governata dalla dinastia Ming (1368-1644), l’ultima di nazionalità cinese. La dinastia precedente, i Yuan, era dei mongoli (iniziata da Gengis Khan). Quella seguente, i Qing, conclusasi nel 1911, era dei mancesi.

Matteo Ricci, oltre che missionario e umanista, era uno scienziato di grande valore: astronomo, geografo, musicista e matematico “euclideo”, esattamente come riferisce Battiato. Nel 1607 pubblicò a Pechino la traduzione cinese dei primi sei libri di Euclide, contenuti nel testo di Cristoforo Clavio, I 15 libri degli elementi di Euclide. La traduzione di Euclide è stato il testo fondamentale per l’introduzione della matematica occidentale in Cina. Ricci si avvalse della collaborazione del suo migliore discepolo ed amico, lo scienziato (e poi politico) Xu Guangqi, noto nelle fonti gesuitiche come il “dottor Paolo”. Paolo Xu e altri tre alti funzionari convertitosi alla fede cristiana, furono chiamati le «colonne della cristianità cinese». Il confuciano cristiano e “euclideo” Paolo Xu divenne un ministro molto importante e fu tra gli uomini più vicini a Chongzhen, l’ultimo imperatore della dinastia dei Ming.

Il verso di Battiato dedicato ai gesuiti euclidei ci ha permesso di gettare un po’ di luce su uno degli episodi interculturali significativi della storia dell’umanità: l’incontro, nel segno del dialogo, della scienza, dell’amicizia e della fede tra l’umanesimo rinascimentale europeo e la straordinaria dinastia cinese dei Ming. Matteo Ricci, missionario dell’amicizia, ha portato in Cina la fede e i doni che la fede suscita: l’amicizia, la scienza, la cultura e l’arte. E dagli amici cinesi ha ricevuto altrettanto: scienza, cultura, lingua, filosofia e arte cinese, che il grande missionario gesuita trasmise all’Europa, dando vita a uno straordinario scambio culturale.