La decisione del governo di fare marcia indietro sul Pos, aderendo alle sollecitazioni europee (oltre che a quelle del buon senso) è una buona notizia. Si tratta di una decisione piccola ma significativa. Indica che al dunque anche un governo che nasce su di una radice sovranista deve piegarsi a quegli usi e costumi che improntano il concerto europeo, scegliendo di perseguire al suo interno il nostro interesse nazionale.
Ma anche una buona notizia alle volte ha un risvolto più discutibile. E cioè il fatto che questa conversione a regole e consuetudini europee avvenga senza spendere neppure una parola per dar conto del proprio mutamento di opinione. Non suoni ostile ricordare alla premier Meloni che appena un lustro fa – cinque anni, per la precisione – la leader di Fratelli d’Italia ipotizzava l’uscita dall’euro. E non solo lei, a dire il vero.
Un largo e variegato fronte populista, a destra e a sinistra, ha seminato negli anni i più vari, coloriti e inverosimili sospetti sulle regole dell’unione. Salvo farle proprie quando ci si è resi conto che di lì, da quelle regole, passava la tenuta del nostro sistema Paese e la fortuna delle proprie stesse sorti politiche. Ci si aspetterebbe che queste conversioni – apprezzabili – venissero accompagnate, se non proprio da una doverosa autocritica, quantomeno da una spiegazione che ne rendesse più limpide le ragioni. E con esse, la garanzia che lo stesso equivoco non si venga a perpetuare nuovamente alla prima occasione. Sarebbe un elementare, e perfino conveniente, dovere di trasparenza.
Fonte: La Voce del Popolo – 22 dicembre 2022
(Articolo qui riproposto per gentile concessione dell’autore e del settimanale della Diocesi di Brescia)