Una questione che non è mai scomparsa
La questione sociale in Italia esiste di nuovo. Ad essere sinceri, non è mai scomparsa. I dati e i numeri lo evidenziano e, purtroppo, anche le concrete condizioni di vita di ampi settori della pubblica opinione lo confermano. Ma, al di là della burocratica presa d’atto di questa sempre nuova emergenza, il nodo di fondo è come dare una risposta politica a questa situazione. E, su questo versante, le risposte sono sostanzialmente sempre e solo tre.
I ricchi che difendono i poveri
Ci sono coloro che si limitano a fotografare la situazione. Denunciano, attaccano, si scontrano con i presunti responsabili di questa emergenza — di norma sono sempre i soliti nemici politici — e si limitano, appunto, a declinare un comportamento testimoniale e, al tempo stesso, dissacratorio. Sono i cosiddetti opinionisti da salotto, i conduttori dei talk televisivi, i commentatori con contratti da favola stipulati con i rispettivi editori. Insomma: i ricchi, quelli veri però, che difendono i poveri. Verrebbe da dire: patetici e anche ridicoli.
Populisti, assistenzialisti e la politica delle mance
La seconda categoria sono coloro — di norma i populisti, i massimalisti e gli estremisti — che pensano di risolvere i problemi innescati dalla questione sociale attraverso gli strumenti, logori e diversamente clientelari, dell’assistenzialismo e del pauperismo. Lo abbiamo anche sperimentato recentemente con i populisti dei 5 Stelle quando erano al governo del Paese. Bonus, sussidi, regalie varie, sintetizzati dall’ormai famoso e celebre “reddito di cittadinanza”, che si può estendere, sempre secondo il verbo populista e demagogico, anche nelle singole regioni.
Si tratta di un modello politico e culturale — o subculturale — che non risolve affatto i problemi dei ceti popolari e dei ceti meno abbienti ma, semplicemente, li tampona momentaneamente attraverso la “politica delle mance”: gratuite, senza controlli e deresponsabilizzanti. Radicalmente incompatibile con qualsiasi cultura dello sviluppo, della crescita e, soprattutto, con una vera e credibile politica di redistribuzione della ricchezza socialmente avanzata.
La via maestra della sinistra sociale cristiana
Infine, e resta questa la strategia più seria e credibile per affrontare i problemi della questione sociale, c’è il metodo scelto e praticato storicamente dalla sinistra sociale di ispirazione cristiana. Cioè da uomini e donne della sinistra sociale della Dc, e da alcuni partiti succeduti alla Dc, che legavano la questione sociale alla necessità di elaborare un progetto politico capace di aggredire alla radice i problemi derivanti da quella piaga.
Si trattava di far sì — per dirla con una felice espressione del leader storico di questo filone di pensiero, Carlo Donat-Cattin — che “l’istanza sociale diventi Stato”, da un lato, e che, dall’altro, “la politica sociale diventi un elemento costitutivo della politica di sviluppo e di crescita per l’intero Paese”. L’esatto contrario della ricetta populista e massimalista legata esclusivamente alla stanca ed inerziale riproposizione dell’assistenzialismo pauperista: una risposta che non risolve, ma semplicemente sposta i problemi più avanti, a danno dell’erario pubblico e delle future generazioni.
Un’eredità che resta un faro
Per queste ragioni, semplici ma oggettive, la ricetta della sinistra sociale della Dc — di Carlo Donat-Cattin, di Franco Marini, di Guido Bodrato, di Sandro Fontana, di Ermanno Gorrieri e di molti altri uomini e donne di quella tradizione — continua a essere un faro che illumina l’iniziativa politica di chi vuole affrontare il dramma della questione sociale con le armi della politica.
Non con la deriva populista, demagogica e qualunquista.

